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Italia paese a rischio politico?

Difficoltà economiche e finanziarie. Credibilità politica internazionale in discesa. A Mario Monti l'incarico di formare il nuovo governo. Ecco cosa ne dice l’analisi di rischio paese.

di Marco Delugan 14 nov 2011 ore 09:53
Analisi di rischio paese, si chiama. Considera variabili economiche, finanziarie e politiche. Non ancora conosciutissima, ma sempre più importante in un mondo dove tutto è ormai legato con tutto. Ne abbiamo parlato con Giacomo Golkorn, che proprio di questi tipo di analisi si occupa professionalmente. Con domandone finale: come è messa l’Italia?

Cos’è l’analisi di rischio paese?

«L’analisi rischio paese consente a chi opera a livello politico, economico o finanziario di ridurre o anticipare eventuali rischi operativi. All’analisi della rischiosità di un paese può essere interessato chi progetta di realizzarvi un’attività produttiva o commerciale, chi acquista titoli di stato o di aziende di quel paese, oppure chi deve mandare soldati a sedare una rivolta o in missione di pace, chi vuole sovvenzionare l’opposizione a un regime dittatoriale perché arrivi al potere e deve capire se ha reali possibilità di arrivarci, se questa opposizione è davvero un possibile alleato, oppure se conviene sovvenzionare il governo perché in quel paese ci sono attività economiche che quel governo in qualche modo protegge o comunque non avversa. Il rischio sociale, e cioè di disordini o rivolte o scioperi, viene in genere accorpato al rischio politico ed economico. Esempio: io metto un impianto in una certa regione della Cina per poi scoprire che ci sono rivolte, attentati, scioperi».

Come viene monitorato il rischio nelle sue diverse dimensioni?

«Il rischio finanziario viene monitorato in genere dalle grandi agenzie di rating: Moody’s, Standard&Poor’s, e Fitch. Il rischio economico è più complesso da valutare, perché riguarda aspetti strettamente economici ma anche politici e sociali, e per il monitoraggio non ci sono agenzie vere e proprie, se non le grandi agenzie economiche e finanziarie del pianeta: Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, l’OCSE e altre agenzie collegate all’Unione Europea. Loro studiano la situazione ed emettono pareri, e spesso redigono classifiche dei paesi in base al rischio economico. Poi ci sono gli analisti privati. In Italia ad esempio c’è Sace che fa analisi di rischio economico, finanziario e politico. L’analisi del rischio politico è ancora più difficile, perché non ci sono indici oggettivi, nel senso di indici su cui tutti concordano, consolidati metodologicamente. Esistono istituti, pubblici e privati, che fanno analisi di rischio politico, e fanno un ranking sulla stabilità politica dei vari paesi, sulla stabilità del governo ma anche sulle tensioni che ci sono a livello sociale, tra le forze che sono in parlamento, ma anche su quelle che stanno fuori dal parlamento. Ci sono grandi aziende che hanno centri studi che si occupano di questo tipo di analisi, come Eni e Axa in Italia, Toyota in Giappone».

Quanto è importante il rischio politico?

«Negli ultimi tre anni si è visto quanto può essere importante l’analisi del rischio politico in senso stretto per capire cosa succederà in campo economico. In tutti gli anni ’90 e più di metà del primo decennio del 2000 si diceva che era l’economia a dominare la politica, ma quando ci sono momenti di crisi è esattamente il contrario: è la politica che alla fine decide se e come spendere i soldi; lo snodo decisivo è quello. In tempi normali la politica potrebbe incidere in un’analisi complessiva della rischiosità di un paese tra il 5 e il 7%; in momenti di crisi come questi, invece, l’analisi di rischio politico può pesare anche due o tre volte tanto, anche il 20% sul rischio complessivo».

Può farci un esempio?


«Se Papandreu, ex primo ministro della Grecia, avesse continuato nella sua scelta di fare i referendum non c’era economia e finanza che tenessero, sarebbe andato al referendum con il forte rischio di perderlo. E se lo avesse perso le conseguenze per l’economia sarebbero state disastrose. L’esempio contrario è quello del Belgio, da 500 giorni senza un Governo, ma dove tutto funziona lo stesso. Dovrebbe essere a rischio elevatissimo - nemmeno l’Iraq è stato senza governo per così tanto tempo - ma in questo caso la questione politica incide poco perché il sistema belga è nel suo complesso così forte da poter supplire all’assenza di un governo regolarmente eletto. Alla fine dipende sempre dalla specifica situazione che si va ad analizzare».

Anche l’Italia ha problemi di credibilità politica, in questo periodo. Come potrà evolversi la situazione?
 
«L’Italia è un altro esempio lampante di come la politica possa incidere tantissimo. Nel momento in cui è stato chiaro e veritiero che Berlusconi si sarebbe dimesso, e già c’era il nome del suo potenziale successore, il problema fiducia si è attenuato. Però questo non può bastare, perché poi c’è il dopo. Se io dovessi fare un’analisi di rischio politico sull’Italia direi che, se Mario Monti riuscisse ad avere una rapida fiducia dal parlamento, e formare un governo tecnico, in un anno il problema fiducia nell’Italia potrebbe essere pressoché risolto. Ma entro un anno si dovrà anche votare altrimenti il rischio politico aumenterebbe, per due motivi: ci saranno fratture sociali molto forti, perché Monti dovrà fare cose anche impopolari; e la stessa Europa chiederà la legittimazione di certe riforme attraverso un voto democratico, perché la credibilità di un Paese va di pari passo con il consenso interno. Angela Merkel, Cancelliere della Germania, ad esempio, tutte le volte che ha dovuto finanziare il fondo salva stati è dovuta passare non solo dall’approvazione del parlamento tedesco ma anche da quella della Corte Costituzionale. E la forza della Germania deriva proprio da questo: non è solo credibile per cultura politica ed economica, ma c’è anche una piena e totale legittimità dell’azione di governo che, anche lì, è dal 2008 un governo di unità nazionale».

E se Monti non dovesse riuscire a fare un Governo?

«Se Monti non dovesse ottenere la fiducia dal Parlamento bisognerà andare per forza ad elezioni il prima possibile. Ma ricordiamoci che c’è sempre Berlusconi. Rimarrebbe lui per la normale amministrazione, e sarebbe la dimostrazione che non c’è un’alternativa, quello che Berlusconi sostiene da tempo. A quel punto la credibilità del paese tornerebbe a scendere, perché tutti adesso puntano sul fatto che Mario Monti riesca a fare un Governo».


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Marco Delugan

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