Microcredito, la formula vincente è sul web
Prestare il proprio denaro senza interessi per aiutare chi a 10mila km di distanza ne farà buon uso per sé e per la sua famiglia è a portata di click. L’esempio di Kiva, no profit californiana
di Carlo Vitali 13 mag 2013 ore 10:07- il peer-to-peer lending (o social lending) che si rivolge a persone “bancabili”, ossia che hanno accesso ai canali bancari tradizionali e in cui il prestatore riceve indietro oltre al capitale anche degli interessi;
- il microcredito, che si rivolge a persone “non bancabili”, prevalentemente in paesi di via di sviluppo, e in cui il prestatore riceve indietro solo il capitale.
LEGGI ANCHE: Microcredito, piccoli prestiti per grandi scopi
Si tratta di importi poco rilevanti per i nostri parametri (l’importo medio del prestito è 405 dollari) e vengono finanziati sul sito dai prestatori (generalmente provenienti da paesi economicamente più evoluti, quasi 1 milione di persone ha già fatto prestiti su Kiva) che contribuiscono ognuno con una tranche di 25 dollari o multipli versata via PayPal. Il capitale restituito viene ricevuto sul proprio account Kiva per poter essere riprestato (il 75% fa così) oppure ritirato o donato a Kiva. Del tutto sorprendente il dato dei ripagamenti: è pari al 98,98%, irraggiungibile nei nostri canoni finanziari.
La parte più complessa è quella che coinvolge coloro che richiedono un prestito. Devono essere raggiunti negli angoli più remoti del globo e ovviamente non hanno accesso a internet, oltre a non aver accesso alle banche. Kiva ha aggregato intorno a sé una rete di field partners (192), che sono prevalentemente delle MFI (MicroFinance Institutions) già operanti nel paese nel settore dei prestiti alle famiglie e alle piccole imprese. I field partner scandagliano il territorio raccogliendo le richieste, formalizzandole in uno schema standard e tornando in loco per raccogliere le rate e assistere la famiglia nel suo percorso. Tutto questo ha un costo e quindi in realtà i richiedenti pagano degli interessi, che vanno però al field partner per garantirne la sua sostenibilità e non al prestatore via web. Sono interessi che possono superare il 30% ma non devono scandalizzare, sono una conseguenza del piccolo importo del prestito e dei significativi costi di gestione. Inoltre, non va dimenticato che l’erogazione di questi micro prestiti ha un significato particolarmente elevato per i beneficiari raggiunti, i quali nella maggior parte dei casi non avrebbero altrimenti accesso ai canali di credito tradizionali.
Questo meccanismo implica anche che, per accorciare i tempi, il prestito sia erogato direttamente dal field partner e che quindi il prestatore in realtà va a rimborsare il field partner per il capitale prestato. Intorno a Kiva si è aggregata una community molto vivace. Spesso i prestatori si raggruppano in team in gara tra loro a chi fa più prestiti; ci sono 350 volontari (e qui siamo nel crowdsourcing) che si dedicano alla finalizzazione dei materiali descrittivi il prestito, traducendoli dalle lingue più disparate e omogeneizzandoli dal punto di vista del testo e della foto.
Un’ultima annotazione: i “non bancabili” non sono una peculiarità dei paesi in via di sviluppo, sono dappertutto e non a caso Kiva ha aperto le sue operazioni di finanziamento anche a residenti negli USA. In Italia i “non bancabili” sono stimati in otto milioni, ma nessuna delle lodevoli iniziative di microcredito di banche, governi locali e associazioni si è ancora posta l’obiettivo di sfruttare l’effetto aggregatore e moltiplicatore del crowdfunding via web.
Carlo Vitali
www.smartika.it
Questo scritto è redatto a solo scopo informativo, può essere modificato in qualsiasi momento e NON può essere considerato sollecitazione al pubblico risparmio. Il sito web non garantisce la correttezza e non si assume la responsabilità in merito all’uso delle informazioni ivi riportate.
TUTTI GLI ARTICOLI SU:
microcredito
, social lending
, crowdfunding