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Tobin tax, la tassa che infiamma l’Europa: sì, no, perché

Proposta per la prima volta nel 1972 dal premio Nobel per l’economia James Tobin e recentemente rispolverata dalla Commissione Europea. Cos’è e come funzionerebbe la tassa sulle transazioni finanziarie.

di Andrea Di Turi 12 gen 2012 ore 09:53
Di Tobin tax si parla da quarant’anni. Da quando nel 1972 l’economista statunitense James Tobin, da cui poi prese il nome, insignito del premio Nobel per l’economia nel 1981, la propose. Ora torna d’attualità con la crisi. Rispolverata dai governi europei alla ricerca di risorse, anche nel tentativo di dimostrare che la politica può tornare ad avere il primato sulla finanza. Come a dire: la finanza ha provocato la crisi, la finanza (almeno in parte) la paghi. Per molti si tratta di una scelta di puro buon senso, giusta, solidale e sostenibile. Ma non tutti la pensano così.

L’idea di Tobin. La versione originaria prevedeva l’introduzione di un’aliquota minima, intorno allo 0,1%, sulle transazioni finanziarie a breve sul mercato dei cambi. L’obiettivo, esplicitato in un’espressione divenuta poi celebre, era quello di mettere dei “granelli di sabbia” negli ingranaggi della speculazione finanziaria, con particolare riferimento appunto a quella che si scatenava sul mercato delle valute. Importante tenere a mente il contesto: si era infatti all’indomani della fine del regime dei cambi fissi, decisa il 15 agosto del 1971 dal presidente statunitense Richard Nixon, che aveva regolato fino a quel momento i rapporti di conversione fra le valute. L’idea di Tobin era dunque di porre un freno alla speculazione per rendere più stabili i rapporti fra le valute in un regime di cambi flessibili.

Dalla Tobin tax alla Ttf (Tassa sulle transazioni finanziarie). La proposta attuale è in larga misura ispirata a quella originaria di Tobin, ma se ne differenzia per alcuni elementi. La Ttf, infatti, prevederebbe l’applicazione di un’aliquota a tutte le transazioni finanziarie, o se non altro alla maggior parte di esse, quindi il suo raggio d’azione si estenderebbe ben al di là del mercato dei cambi. Inoltre, le aliquote potrebbero essere differenziate a seconda del tipo di attività oggetto della transazione (azioni, obbligazioni, prodotti derivati).

La proposta della Commissione europea.
A fine settembre 2011 il presidente della Commissione europea, Barroso, ha ufficializzato quella che al momento si può definire la proposta-quadro dell’Europa sulla Tobin tax o Ttf. Prevederebbe due differenti aliquote: una più elevata, dello 0,1%, che colpirebbe le transazioni su titoli azionari e obbligazionari; una più contenuta, dello 0,01%, che verrebbe applicata sulle transazioni di prodotti finanziari derivati.

Favorevoli e contrari.
Da decenni sulla Tobin tax si confrontano due schieramenti, uno pro e uno contro. Non sono aliene a tale contrapposizione motivazioni ideologiche.

I contrari pongono sostanzialmente due obiezioni:

-la tassa ha difficoltà tecniche di applicazione
-la tassa deve venire applicata da tutti i Paesi del mondo, altrimenti i Paesi che la applicano sono destinati a subire un deflusso di risorse finanziarie, quindi una perdita di competitività.

Leggi anche: La tassa che la finanza dis-etica non vuole

I favorevoli, portano innanzitutto le seguenti motivazioni generali:
-la tassa avrebbe un grande valore simbolico di riaffermazione del primato della politica sulla finanza
-si raccoglierebbero risorse ingenti per fronteggiare la crisi, da destinare a politiche di welfare, di cooperazione internazionale e per politiche ambientali.

Nello specifico, poi, i sostenitori della tassa replicano ai contrari affermando che:
-la tassa non ha particolari difficoltà tecniche di applicazione, specie da quando tutte le contrattazioni sui mercati finanziati avvengono per via info-telematica; numerosi studi condotti negli ultimi anni, del resto, ne hanno dimostrato l’applicabilità anche a un solo Paese
-ci sono già stati nella storia, e ci sono tuttora, numerosi casi di applicazione di tasse tipo Tobin, anche in singoli Paesi, come ha verificato un recente importante studio condotto dall’Fmi (Fondo monetario internazionale), i quali non hanno prodotto gli scenari apocalittici figurati dagli oppositori della tassa, anzi hanno prodotto in genere un prezioso gettito.

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Quale gettito?
Le stime sul gettito che la Tobin tax o Ttf potrebbe produrre variano a seconda di tre grandi variabili: l’aliquota applicata, il campo di applicazione (sulle transazioni di quali prodotti finanziari), il perimetro (in quali Paesi).

La Commissione Ue stima ad esempio che il gettito ottenibile se la tassa venisse introdotta in ambito comunitario nei termini previsti dalla proposta ufficiale sarebbe di 50-55 miliardi di euro. Si calcola inoltre che se si applicasse un’aliquota dello 0,05% su scala internazionale, si otterrebbe un gettito intorno ai 650 miliardi di dollari.

Il risiko europeo.
In Europa le posizioni pro e contro in campo sono ormai piuttosto delineate.

Fra i più strenui sostenitori della Ttf vi sono la Germania e soprattutto la Francia, che ha più volte dichiarato che sarebbe anche pronta a introdurla da sola, cioè a livello nazionale: un recente studio ha reso noto che la cosa è fattibile e che porterebbe nelle casse transalpine circa 12,5 miliardi di euro.

Il Regno Unito, che in Londra ha la seconda piazza finanziaria mondiale dopo New York, è invece il grande oppositore, nonostante proprio nella City sia vigente una delle tasse tipo Tobin più famose al mondo, la Stamp Duty reserve tax.

L’Italia, con il nuovo presidente del Consiglio, Mario Monti, ha capovolto l’orientamento del governo precedente, che in qualche caso aveva definito “ridicola” l’ipotesi Ttf: ora, infatti, l’Italia è favorevole a discutere dell’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie.
La forza con cui i vari governi stanno sostenendo le reciproche posizioni è se non altro la dimostrazione che la questione Tobin tax è sempre stata soprattutto di natura politica, non tecnica e non economica.

Leggi anche: Monti pro Tobin tax, la “tassa che abbassa le tasse”

Le iniziative a sostegno della Tobin Tax.
Non si contano le iniziative internazionali che si sono succedute nel corso dei decenni per chiedere l’introduzione di una tassa tipo Tobin.
I movimenti altromondialisti o new-global di fine secolo scorso, etichettati generalmente come “no-global”, ne avevano fatto una bandiera per le loro richieste di una globalizzazione dal volto umano non asservita ai diktat degli interessi della grande finanza. Testimone poi raccolto dal movimento degli “indignados” e di “Occupy Wall Street”.

Fra le ultime iniziative più celebri si ricordano la dichiarazione a sostegno della Ttf di oltre 700 parlamentari di tutto il mondo e la lettera che 1.000 economisti internazionali hanno inviato ai ministeri delle Finanze del G20, chiedendo appunto l’introduzione delle tassa.

Fra i personaggi più illustri che in questi anni si sono espressi a favore della Ttf, figurano ad esempio Bill Gates e i premi Nobel per l’economia Joseph Stiglitz (che la definì “possibile e necessaria”) e Paul Krugman.

In Italia.
Per restare in Italia, l’introduzione della Ttf è inserita nel Manifesto che molte organizzazioni della società civile (fra cui Acli, Altromercato, Arci, Azione Cattolica, Banca Etica, Cisl, Crbm, Fiba-Cisl, Legambiente, Libera, Mani Tese) hanno proposto da anni. In Italia è attiva anche la Campagna ZeroZeroCinque, a cui aderiscono fra gli altri Adiconsum, Altreconomia, Amref, Attac Italia, Cgil, Cittadinanzattiva, Oxfam Italia, Save the Children, Sbilanciamoci, Uil, Valori, Vita, Wwf.

Il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, in una importante Nota pubblicata nei mesi scorsi sulle prospettive di riforma dei mercati finanziari, ha anch’esso suggerito l’introduzione di una Ttf per promuovere uno sviluppo globale sostenibile secondo principi di giustizia sociale e solidarietà, nell’ottica della realizzazione del bene comune.


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Andrea Di Turi

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