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Finanza etica: antidoto alla crisi?

Non si può fare una buona economia con una cattiva etica. Ormai lo dicono in tanti. Vediamo cosa dicono i numeri.

di Andrea Di Turi 9 set 2011 ore 10:24
La finanza etica ci salverà? Forse è chiedere troppo. Tuttavia le montagne russe della crisi, l’andamento dei titoli e degli indici di Borsa degli ultimi tre-quattro anni, per non dire di quest’estate al cardiopalma, sembrano aver spezzato più di una lancia a favore della finanza etica o socialmente responsabile (Sri). Quella tipologia d’investimento che utilizza criteri sociali e ambientali oltre che economico-finanziari per selezionare gli investimenti. E che guarda preferibilmente al medio-lungo periodo, senza cadere preda delle frenesie quotidiane dei listini.

Di recente si sono moltiplicati gli studi che hanno cercato di evidenziare prima di tutto se, e nel caso quanto, l’utilizzo di criteri Esg (environmental, social and governance) abbia una relazione col rendimento ottenibile da un investimento. In generale è stato evidenziato come prima di tutto l’utilizzo di questi “filtri” etici non sia penalizzante per il rendimento. Inoltre, quando ci si è messi a confrontare indice etici e indici tradizionali comparabili, si è spesso scoperto che quelli etici riescono non di rado a spuntare performance migliori, soprattutto nel medio-lungo periodo, e che comunque queste performance sono del tutto comparabili con le altre. Si è poi anche evidenziata un’altra cosa interessante, relativa stavolta al rischio, l’altra grande dimensione classica in base a cui si effettuano le scelte d’investimento: investire con criteri Esg può contribuire ad abbassare il rischio dell’investimento, in particolare il rischio di incorrere in default, crac, perdite ingenti. Per un motivo abbastanza semplice: un’analisi Esg è più ampia, completa, si può dire olistica di un’analisi finanziaria tradizionale, che non sostituisce ma a cui è complementare; in altre parole, vede ciò che quella non ha gli strumenti per vedere, per cui riesce a scorgere prima e meglio determinati rischi che dall’analisi delle nude cifre a volte non appaiono per nulla o comunque fanno molta più fatica ad apparire.

Ecco di seguito i risultati di alcuni di questi studi e confronti che sono stati effettuati tra la finanza etica e quella tradizionale.

L’etica serve quando le cose vanno male. Per mettere al riparo

Un recente studio effettuato nell’ambito del Politecnico di Milano ha analizzato l’andamento dei fondi etici negli ultimi dieci anni (2001-2010). Il risultato è che i fondi con elevati standard etici hanno ottenuto rendimenti medi superiori soprattutto nelle fasi più negative di mercato (2008-2010). La differenza a favore dei fondi etici esiste anche nelle fasi positive del mercato, ma si riduce. Come a dire: soprattutto quando le cose vanno male, l’etica mette un po’ più al riparo (riedizione in salsa finanziaria, se si vuole, del celebre “quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare”).

Questo studio ha sostanzialmente confermato quanto affermava un altro studio effettuato dall’agenzia Morningstar su un ampio numero di fondi con caratteristiche Sri venduti in Italia. Dal quale era emerso che i rendimenti dei fondi Sri erano comparabili a quelli dei loro pari e che riuscivano ad ottenere performance migliori, anche lì, in particolare nelle fasi negative di mercato.

Un’analisi molto recente pubblicata quest’estate sul sito di Borsa Italiana nuovamente ha prodotto risultati che vanno a favore dei fondi etici. Ha analizzato 150 fondi statunitensi che adottano strategie di screening etico. E ha evidenziato che «la componente etica favorisce i risultati ottenibili». Sono in special modo i fondi più grandi, in virtù del fatto che possono attuare in maniera più stringente tali strategie di selezione basate su criteri Esg, quelli che possono meglio performare rispetto ai fondi tradizionali.

Nell’autunno del 2010 è stato introdotto il primo indice etico italiano, Ftse Ecpi Italia Sri. Nei back-test condotti, per verificare che rendimento avrebbe avuto l’indice se fosse stato introdotto nei quattro anni precedenti (2006-2009), è emerso che l’indice (specie nella versione “Leaders”, con criteri di selezione più stringenti) avrebbe segnato performance superiori all’indice tradizionale di Borsa in tre dei quattro anni considerati. Con differenze anche importanti. Anche nel 2010 l’indice “Leaders” ha contenuto la performance negativa, facendo ancora una volta meglio del benchmark tradizionale.

Come si diceva, la forza dell’investimento basato su analisi Esg sta anche nella sua maggiore capacità di prevedere difficoltà, default, quindi rischi di perdite. Un’analisi condotta sui maggiori fallimenti di imprese quotate avvenuti tra metà e fine anni 2000, che ha considerato quelle che persino nel momento del crac erano accreditate di un buon giudizio di rating, ha dimostrato che la larga maggioranza di questi fallimenti era stato previsto dalle analisi fondate su criteri Esg. E i titoli erano stati quindi esclusi dai fondi che utilizzavano quelle analisi: Aig e Bear Sterns, ad esempio, erano uscite da quei portafogli per questioni legate a corruzione, violazioni di pratiche di mercato, inadeguate politiche di remunerazione, insomma classiche questioni Esg.

Una visione di lungo periodo
C’è poi un altro elemento da considerare: gli investimenti Esg sviluppano le loro potenzialità soprattutto nel medio-lungo periodo, cioè le loro performance sono migliori rispetto ai prodotti tradizionali soprattutto quando ci si muove in un orizzonte di investimento di medio-lungo periodo. A dimostrarlo è stato, fra gli altri, un confronto effettuato tempo fa tra l’indice etico Ecpi Esg Alpha equity index e il suo benchmark tradizionale Msci world large cap: 23,37% contro 16,7% i rendimenti a favore dell’indice etico nel periodo 2003-2010. Stesso discorso per il confronto tra l’indice etico Ecpi Ethical index e il suo benchmark tradizionale Morgan Stanley capital index euro: tra 2005 e 2010, l’indice etico ha sovraperformato del 2,36%.

Nel quinquennio tra 2005 e 2010, secondo uno studio dell’agenzia di rating Morningstar, un investimento di 10mila euro sull’indice etico Dow Jones Sustainability (che ha appena effettuato la revisione dei suoi panieri) ne avrebbe resi 10.220: non un rendimento stratosferico, ma senz’altro migliore di quello che sarebbe stato offerto da un pari investimento sull’indice Msci World index, che avrebbe trasformato i 10mila in 8.830.

Ma una prova eclatante, sebbene sui generis (non si tratta di lungo periodo ma di un giorno, sì un giorno), della differenza che può esserci tra finanza etica e finanza tradizionale è legata al giorno del fallimento di Lehman Brothers: tra il 15 e il 16 settembre del 2008, mentre l’indice S&P500 perdeva (-1,70%), l’indice etico Dsi400, uno dei primi a essere introdotti all’inizio degli anni ’90, era addirittura in territorio positivo, +1,20%.

Cresce l’integrazione con la finanza tradizionale

Ma c’è di più. A livello internazionale l’integrazione di criteri Esg nelle analisi degli investimenti è ormai prassi per quanto riguarda gli investitori istituzionali, specie i fondi pensione. Non è ancora così in Italia, anche se qualcosa si sta muovendo.

È proprio riguardo a questi ultimi, i fondi pensione, che Unep Fi, un programma delle Nazioni Unite finalizzato alla diffusione di principi e criteri di sostenibilità in ambito finanziario, in un rapporto di un paio d’anni fa ha teorizzato una novità fondamentale nel campo della finanza Sri: i gestori di fondi pensione che non dovessero utilizzare criteri Esg nella selezione degli investimenti, potrebbero essere accusati di violare i loro doveri di “buon gestore”. Come a dire: l’utilizzo di criteri Esg rientra nei doveri del buon gestore. Se non li usi, non sei un buon gestore.

Restando sui fondi pensione, un’analisi resa nota a giugno da parte di Consultique sui principali fondi pensione aperti commercializzati in Italia ha eletto la linea Aequitas del fondo PensPlan Plurifonds come quella con la miglior performance (+13,02%, contro una performance del Tfr rivalutato del 7%) nei tre anni da marzo 2008 a marzo 2011. Il fondo investe utilizzando le analisi Esg effettuate da Etica sgr, unica sgr italiana a proporre sul mercato solo fondi etici, tra l’altro premiata più volte, ad esempio agli ultimi Lipper Fund Awards, per l’elevato rendimento dei propri fondi a 3-5 anni.

La crisi non frena gli asset etici

La crescita costante degli asset gestiti con criteri Esg è un’altra dimostrazione che la finanza etica è venuta per restare e che attira sempre di più gli investitori. Una crescita che è continuata anche con la crisi, anzi, per certi versi è stata accentuata.

L’ultimo studio ufficiale sul mercato Sri in Europa condotto da Eurosif, ad esempio, ha certificato come tra fine 2007 e fine 2009, cioè nei due anni più neri della crisi scoppiata coi mutui subprime, gli asset gestiti con criteri Sri sono cresciuti dell’87% a 5mila miliardi di euro. Gli indici etici Ftse4Good della Borsa di Londra, festeggiando il loro decennale a fine maggio 2011, hanno inoltre sottolineato proprio la crescita fra i key trend dell’investimento responsabile a livello mondiale: in dieci anni si è quasi quadruplicato, arrivando a circa 10mila miliardi di dollari.

Che ci riserverà il futuro? Con l’incertezza e la volatilità che i mercati hanno di questi tempi, impossibile dirlo per chiunque. Certo i richiami all’etica in economia e in finanza ormai non si contano. L’ultimo in ordine di tempo quello del filosofo Giovanni Reale: «Non si può fare una buona economia con una cattiva etica». Qualcosa vorrà pur dire.

Andrea Di Turi
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