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Il consumo come mestiere

Mauro Artibani, romano di 57 anni, "ex architetto, ex redattore ed ex pubblicista", ma soprattutto Professional Consumer. Per lui consumare "è un ruolo civile che la società ci impone". Il consumo come mestiere, e non solo

di Sarah Piglia 2 mag 2008 ore 16:21

E come lavoro, il consumo produce un reddito che il consumatore si deve impegnare ad intercettare a tutti i costi. Ma come? Ne abbiamo parlato con lui. Ecco le sue risposte...

Innanzitutto chi è il Personal Consumer? Qual è la sua missione?
«La premessa indispensabile per dare corso alle sue domande sta nel riconoscimento della indifferibilità della pratica del consumo per dare sostegno alla crescita economica. Questa indifferibilità configura un obbligo: il lavoro di consumo. Bene, se lavoro ha da essere che lavoro sia, allora. Professionalmente adeguato al compito. Si fa necessario riporre la pratica dilettante mettere a profitto le nostre prerogative, le competenze, pure la nostra forza. Il Professional Consumer insomma deve sapere convenientemente gestire i "fattori del consumo", rendere massima l'efficienza del rapporto tra produzione e, appunto, consumo disponendo strategie operative che aumentino la produttività del sistema, allevino i nostri affanni, rendano conveniente la nostra azione».

Nel suo blog lei dice: "Se solo volessimo, potremmo dominare la domanda in modo attivo", davvero il consumatore ha tutto questo potere?
«La pratica del consumare dilettante si esaurisce nell'acquistare e consumare. Risultato: redditi insufficienti, risparmi allo stremo, debiti sopra il livello di guardia, sprechi ed una montagna di rifiuti. Un'azione professionalmente adeguata deve invece poter rivendicare la produzione della domanda come compito di istituto. Il potere per farlo? Generare il 70% del PIL mediante gli atti di consumo accredita la nostra rivendicazione. Se non bastasse lo squilibrio tra domanda e offerta rende evidente la nostra forza: hanno più bisogno i produttori di vendere che noi di acquistare. Come faranno a resistere a cotante credenziali? Lei mi chiede come possa esercitare il potere della domanda. Beh, intanto riuscendo ad usare, con adeguate strategie di azione, le nostre prerogative: il tempo, l'attenzione. Disponiamo inoltre di un ampio spettro di azione nel gestire la pratica dell'acquisto: dalla prodigalità all'avarizia, che dobbiamo saper dosare con opzioni tattiche per fornire misura all'azione. Recuperare il valore del denaro poi ne consente un uso più accorto e redditizio; opporre resistenza ai processi di fidelizzazione rimuove inerzie, disporre il cosa, come, quando, quanto acquistare; selezionare l'offerta consente di sottoporre a controllo la formazione dei prezzi - i Gruppi di Acquisto Solidali ci stanno provando - mitiga i processi inflativi, si possono così trarre vantaggi per le nostre stressate finanze. Insomma, per salvaguardare il potere di acquisto, abbiamo l'imprescindibile necessità di conquistare il potere della domanda».

Ma con tutto questo parlare che si fa di limitatezza di risorse, non pensa che l'incitamento al consumo sia in contro-tendenza?
«Non credo di poter essere annoverato tra quelli che incitano al consumo. Dal momento però che a questo sistema economico non sembrano intravedersi alternative, perseguibili democraticamente, faccio di necessità virtù. Se consumare si deve, recuperato alla pratica di un esercizio produttivo, consumare si può. Raccogliendo le forze, le opportunità, le prerogative di ruolo, la capacità di azione si possono così mitigare gli eccessi, calibrare i gesti, estirpare vizi, esaltare virtù. Il consumo, recuperato a pratica di lavoro, restituisce dignità all'atto, incentiva la responsabilità dell'azione. Tutti possono dar manforte: quelli che predicano l'autoproduzione, lo scambio anche il baratto, pure quelli dell' "usiamo l'usato". In questi atti già si intravedono i prodromi di una gestione attiva della domanda. Un esempio? Le pratiche di acquisto condiviso, quelle dei GAS, le iniziative che vanno dal file-sharing al car-sharing mitigano l'eccesso acquisitivo; incentivano ad azioni solidali, possono mitigare gli impatti ambientali. Non mi sembra poco».

Se lei, Professional Consumer, e un "volgare consumatore" vi recaste insieme al supermercato, che cosa ci sarebbe di diverso nel vostro modo di fare spesa?
«L'incontro in quel supermercato tra me, Professional Consumer, e un consumatore dilettante avrebbe il concorso dell'occasionalità. Prediligo la "filiera corta", vado dal produttore con i gruppi di acquisto; faccio massa critica, contratto il prezzo e la qualità dei prodotti. Quando invece faccio acquisti da solo non ho affiliazioni di sorta; vado dove rintraccio convenienze. Sono in possesso dell'intera collezione delle carte fedeltà, porto con me un software di selezione che consente di intercettare le offerte: l'acquisto è mirato. Così fidelizzo i fidelizzatori e ottengo utili. Ad esser pignoli bandisco le primizie, i prodotti vestiti con packaging smisurati e costosi, controllo le date di scadenza. Sono prodigo verso l'offerta sovrabbondante, avaro verso quella esigua. Metto in campo al meglio la gestione del tempo degli acquisti, uso l'attenzione con sobrietà, millanto fiducia, espongo perizia. Lei mi chiedeva delle differenze nella spesa. Beh, ad occhio e croce, il dilettante avrà il carrello stracolmo di acquisti, il mio colmo di domanda, un modo per condizionare l'offerta e determinare il prezzo più basso. Lui, se accorto, potrà - mediante le promozioni - aver ottenuto risparmio. Le convenienze da me intercettate con il lavoro messo in campo avranno invece prodotto reddito. Reddito da Consumo, cos'altro sennò?».

Il blog di Mauro Artibani


Sarah Piglia

sarahpiglia@soldionline.it

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