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Pensioni, cosa ci aspetta nel 2026: scenari, ipotesi e rischi concreti

Nel 2026 potrebbero cambiare le regole sulle pensioni, con l’addio a Quota 103, più contributi richiesti e età in aumento. Ecco cosa sapere.

di Redazione Soldionline 18 giu 2025 ore 13:53

pensioni-2026Il 2026 sarà un anno cruciale per le pensioni. Le ipotesi di riforma annunciano l’addio a Quota 103 e nuove regole per l’età pensionabile. Le pensioni potrebbero diventare più difficili da raggiungere, specie per donne e giovani. 
Il sistema si muove verso formule più restrittive, legate al contributivo puro e ai nuovi requisiti Istat. Vediamo cosa potrebbe cambiare e per chi.

Un sistema in transizione: il 2026 sarà un anno chiave 

Il sistema pensionistico italiano si prepara ad affrontare una nuova fase di trasformazione. Il 2026 potrebbe segnare la fine di alcune misure chiave, come Quota 103 e Opzione Donna, e l’avvio di formule più restrittive per l’uscita dal mondo del lavoro. 
Al centro del dibattito, anche l’adeguamento automatico dell’età pensionabile alla speranza di vita, che rischia di rendere ancora più difficile il pensionamento anticipato. L’incertezza cresce, in particolare per donne, giovani e lavoratori con carriere irregolari, già penalizzati dalle attuali regole. 
Il quadro che si delinea è quello di un sistema sempre più selettivo, dove lasciare il lavoro prima dei 67 anni diventa un obiettivo possibile solo per pochi.

Quota 103 in uscita, ecco cosa potrebbe sostituirla 

Introdotta nel 2023, Quota 103 ha rappresentato un’opportunità per molti lavoratori: pensione a 62 anni con 41 anni di contributi. Ma la sua validità è a tempo. Dal 2026, è attesa la cancellazione definitiva della misura e l’introduzione di un modello più selettivo, basato sul regime contributivo puro

La nuova ipotesi prevede:

  • uscita a 64 anni con 25 anni di contributi minimi
  • destinata a chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995
  • assegno pari ad almeno 3 volte l’assegno sociale
  • calcolo interamente contributivo. 

Si tratta di una formula poco inclusiva, che potrebbe escludere gran parte dei lavoratori con percorsi discontinui o redditi bassi. Secondo le prime stime, dal 2030 i requisiti si inaspriranno ulteriormente: si ipotizzano 30 anni di contribuzione e un assegno pari a 3,2 volte quello sociale.

Età pensionabile in crescita: cosa cambierà dal 2027 

Accanto alla revisione dei meccanismi di uscita anticipata, si profila un altro cambiamento rilevante: l’innalzamento dell’età pensionabile. Il calcolo è legato ai dati sulla speranza di vita, che l’Istat ufficializzerà a luglio 2025. 
Se non interverrà un blocco politico, dal 2027 si avrà:

  • 67 anni e 3 mesi per la pensione di vecchiaia; 
  • 43 anni e 1 mese di contributi per gli uomini (pensione anticipata); 
  • 42 anni e 1 mese per le donne. 

Questo adeguamento automatico, previsto dalla normativa vigente, è già stato rinviato in passato, ma stavolta potrebbe entrare in vigore in assenza di un accordo parlamentare. Intanto, i dati parlano chiaro: nel primo trimestre del 2025, le pensioni anticipate sono diminuite del 23% rispetto allo stesso periodo del 2024.

Le categorie più penalizzate: donne e giovani in prima linea 

Le donne continuano a essere le principali vittime delle rigidità del sistema. Il divario di genere negli assegni pensionistici ha toccato nel 2025 il massimo storico: 1.486 euro al mese per gli uomini, contro 1.011 euro per le donne. Un gap del 32%, spiegabile con carriere discontinue, retribuzioni più basse e interruzioni per motivi familiari. 

Anche Opzione Donna, un tempo strumento di flessibilità, è ormai residuale. Attualmente vi accedono solo:

  • donne caregiver
  • con invalidità civile superiore al 74%, 
  • licenziate, con almeno 35 anni di contributi e un’età minima compresa tra 59 e 61 anni (a seconda dei figli). 

Nei primi tre mesi del 2025, l’INPS ha liquidato appena 592 pensioni con questa formula. Nel 2024 erano oltre 3.500. Tutto lascia pensare a una soppressione definitiva della misura nel 2026. 

Anche i giovani sono in forte difficoltà. Chi è entrato nel mercato del lavoro dopo il 1996, e rientra nel sistema contributivo puro, rischia di accedere alla pensione molto tardi e con importi modesti. Tra le ipotesi più discusse, c’è l’idea di utilizzare parte del TFR versato dalle imprese all’INPS per rafforzare le pensioni future. Ma si tratta ancora di una proposta non strutturata.

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