Terra delle mie brame: investire in agricoltura conviene?
Secondo alcuni importanti gestori è il settore del futuro. La demografia sarebbe dalla sua parte, ma ad oggi le ombre competono con le luci. Meglio puntare su fondi e Etf, e avere pazienza
di Marco Delugan 19 nov 2013 ore 16:16LEGGI ANCHE: Investimento agricolo per piccoli risparmiatori: i gruppi di acquisto terreni
Perché investire in agricoltura?
“Investire nella terra è un’opportunità in più da valutare, ma conoscendo anche i limiti di questo investimento. Da una parte viviamo in un mondo sempre più finanziarizzato, se si pensa che i derivati sono ormai circa 12 volte il Pil mondiale. Insomma, c'è una montagna di carta che sta sopra un "nocciolo" di economia reale. Dall’altra l’andamento demografico ci dice, secondo le Nazioni unite, che da oggi al 2050 la popolazione della Terra crescerà del 40%. Questa evoluzione determinerà inevitabilmente numerosi cambiamenti in diversi campi come l’agricoltura e l’approvvigionamento idrico. Insomma, il vecchio detto di Mark Twain “comprate terra perché non la fabbricano più” ha sempre un suo valore salvo che non si arrivi a colonizzare Marte e qualche altro pianeta.
Questa è la “big picture”, ma nella realtà il settore fondiario ha diversi forti limiti e i prezzi della terra in molte parti del pianeta non si possono certo definire a buon mercato. La terra costa, inutile girarci intorno. E in nazioni come l’Italia la crisi economica (e non solo) ha colpito duramente questo settore e non sembra per ora una semplice correzione. L’ultima ricerca dell'Istituto Nazionale di Economia Agraria (Inea) certifica la caduta di un altro “bene rifugio” con la rottura al ribasso di una serie positiva storica ventennale. Il prezzo della terra è diminuito nel 2012 in modo impercettibile (-0,1%) in termini nominali, ma se si tiene conto del tasso di inflazione la contrazione è piuttosto rilevante e va ad aggiungersi alle riduzioni in termini reali registrate dal 2008. Considerando l'incremento generale dei prezzi, il patrimonio fondiario italiano, in media, vale il 93% di quanto valeva nel 2008”.
Come investire in agricoltura?
“Le possibilità di intervenire in questo settore spaziano dall’acquisto diretto all’investimento indiretto tramite l’acquisto, per esempio, di fondi d’investimento che selezionano aziende e tenute agricole in giro per il mondo. Dipende certo dal patrimonio a disposizione e dall’impegno che si vuole assumere. Per il miliardario Jim Rogers dietro l’angolo potrebbe esserci un boom del settore agricolo dovuto soprattutto a ragioni demografiche. E per dimostrare che crede a quello che dice ha comprato negli ultimi anni diverse aziende agricole in Australia, Indonesia e in Africa. Rogers ritiene che esistono molte possibilità per puntare sul settore, anche in maniera indiretta, come investire su aziende che producono trattori e mezzi agricoli, oppure fertilizzanti o semi; o in Etf o fondi che selezionano commodity o aziende del settore”.
Quale può essere il rischio e il rendimento delle diverse modalità di investimento?
Al di là delle “visioni” di Jim Rogers che “vende” quello che ha in portafoglio, investire nell’agricoltura non è una passeggiata. La volatilità anche in questo settore è forte, e se in senso assoluto la media di categoria a 5 anni è sicuramente interessante - una media di categoria per i fondi d’investimento specializzati nell’agricoltura di oltre l’80% di rendimento - va detto che nell’ultimo anno e biennio il settore agricolo e delle commodity ha molto sottoperformato gli indici di Borsa. E nel crollo del 2007 e 2008, post Lehman, la decorrelazione di un asset di questo tipo non è stata così elevata: nel crollo l’investimento “difensivo” tramite fondi o Etf nella terra non lo si è visto nei fatti ed è bene quindi di ricordarsi di questo aspetto spesso esageratamente illustrato riguardo la presunta decorrelazione degli asset.
Quale è la taglia per investire nel settore agricolo?
L’investimento indiretto tramite Fondi o ETF ha il vantaggio della liquidabilità che invece l’investimento diretto non ha. Con fondi o Etf, inoltre, si può investire anche nel comparto anche con poche centinaia di euro. Per quanto riguarda l’investimento fondiario diretto, i valori della terra coltivabile in Italia cambiano molto dal Nord al Sud, dalla pianura alla collina, da regione a regione con un valore medio nazionale che si aggira sui 20 mila euro all’ettaro. Ma intorno a questa media c’è una variabilità che porta a estremi come questi: per un ettaro di vigneto in Toscana o in Trentino Alto Adige si può arrivare a 500 mila euro, ma anche fino a oltre 1 milione, mentre i pascoli in provincia di Catanzaro partono da mille euro all'ettaro.
A chi sono adatte le diverse modalità di investimento? Quali le opportunità e i limiti e qual è lo stato dell’arte in Italia? E quali le coltivazioni più interessanti?
Come strategist - il lavoro che svolgo nella selezione delle scelte d’investimento dei portafogli di BorsaExpert.it e non solo - sono personalmente molto attento al valore della liquidabilità e sono contrario per approccio alle scelte “one way”. Dal punto di vista finanziario (diverso è il caso se si tratta di una scelta anche di vita) l’agricoltura può essere un investimento fantastico in un certo periodo ma può esserlo molto meno in un altro. E quindi, in base all’andamento del mercato e dei trend, seleziono fondi, Etf o azioni legate all’agricoltura senza mai legarmi le mani.
Detto questo - e ne parlo anche come piccolo proprietario agricolo per passione ed eredità di famiglia - la redditività del settore è praticamente inesistente. E se non si possiedono superfici adeguate è come fare del “no profit”. Nel borsino delle coltivazioni il seminativo (cereali, foraggere, leguminose) è da tempo “out” perché la redditività è continuamente calante.
In linea generale le coltivazioni più interessanti per raggiungere più rapidamente il punto di pareggio sono le coltivazioni con un ciclo breve, in particolari quelle annuali. Le coltivazioni con cicli produttivi più lunghi, quali ad esempio quelle frutticole o viticole, richiedono un fabbisogno finanziario più consistente in quanto i primi ricavi si potranno realizzare solo dopo 3 o più anni mentre si dovranno sostenere i costi anche per gli anni che precedono l’inizio della produzione. Insomma far rendere la terra è ancora più difficile che far rendere il proprio patrimonio in Borsa se mi è consentita una battuta.
C’è un futuro per l’agricoltura in Italia? Quali sono le tendenze attuali?
Il fascino della terra c’è ancora ma nello stesso tempo i dati di questi anni che sono ancora più le aziende agricole italiane che chiudono i battenti rispetto a quelle che le aprono. Due le tendenze apparentemente contraddittorie che stanno emergendo e che possono coesistere. Da una parte lo sviluppo di un nuovo tipo di agricoltori (che puntano su mini superfici di massimo 2 ettari) che puntano sugli orti, alla produzione di piccoli quantitativi di qualità e alla vendita diretta a chilometro zero per abbattere i numerosi e spesso eccessivi passaggi per arrivare al consumatore, per autoconsumo o per un piccolo commercio; dall’altra un tipo di investitori che guarda alla terra con interesse anche per diversificare in questo settore e apportare un approccio più imprenditoriale ma con capitali decisamente più elevati a disposizione.
Sui tipi di coltivazioni più redditizie è difficile generalizzare. Si rischiano di fare affermazioni azzardate. Forse si può dire che i settori che esprimono le massime potenzialità e che hanno le migliori prospettive, sono quelli in cui si riesce a legare il prodotto al territorio, con prospettive importanti per i prodotti orientati all’export. Il chilometro zero è un fenomeno importante ma non si può certo ipotizzare che tutta l’agricoltura potrà orientarsi su questo modello. E tutti gli esperti del ramo spiegano che chi vuole cimentarsi in questo settore deve perciò avere un approccio molto professionale e razionale perché partire all’avventura può costare molto caro in termini economici e di dedizione richiesta.
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