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Perché si sbaglia: complessità e conflitto di interessi

Chi ci guadagna in un ambiente finanziario sempre più difficile

di Marco Delugan 7 gen 2010 ore 15:54
Quando la banca ti vende quello che fa comodo a lei, e meno a te. Quando l’informazione non informa, ma complica le cose. Quando tutto è così confuso che è meglio non pensarci troppo, e affidarsi ad a ltri. Nel primo caso si parla di conflitto di interesse, nel secondo di disinformazione, e nel terzo di gap cognitivo, una mancanza di conoscenza che impedisce di capire bene cosa sta succedendo. Cose che accadono spesso nel mondo della finanza. Ne abbiamo parlato con Salvatore Gaziano, esperto di mercati finanziari e direttore di BorsaExpert.it. Per capire che non è sempre colpa dei risparmiatori quando le cose vanno male. Anche, però.

Dottor Gaziano, partiamo dal conflitto di interessi

«La banca è il terminale finale dove si sviluppa il conflitto di interesse. A volte questo conflitto ha i suoi corollari nell’informazione finanziaria, quando questa fa disinformazione nei confronti del risparmiatore. Anche se bisogna dire che rispetto agli anni passati sono stati fatti dei passi avanti notevoli».

In che senso?

«Una volta il conflitto di interesse tra intermediario e cliente era un tema per addetti ai lavori, i risparmiatori non erano più di tanto consci delle conseguenze di queste cose. Adesso le sanno, molto più di un tempo. Il problema è diventato sempre più evidente dopo casi come Parmalat, Cirio, i bond argentini, che hanno dimostrato come il prodotto che ti vendono non necessariamente è il migliore per te, ma magari è il migliore per il venditore». 

Il mondo della finanza è diventato sempre più complesso, come incide questo sulle dinamiche con cui si realizza il conflitto di interessi?

«La complessità ha reso più difficile leggere il mercato. Fino agli anni ’70 e parte degli anni ’80, il risparmiatore non si trovava di fronte a scelte difficili. Il risparmio era stato per anni immobiliare per poi identificarsi con i titoli di Stato, era una cosa abbastanza facile. 

Poi, alla metà degli anni ’80 le banche e le società di gestione hanno capito che esisteva un pascolo enorme dove potevano fare un mare di soldi con le commissioni di intermediazione e di gestione del risparmio ed era abbastanza assurdo che su quel grande pascolo ci fosse solo lo Stato a guadagnarci e ad essere il principale attore della raccolta. 

Così, in Italia e in tutto il mondo, il risparmio gestito è diventato un fenomeno enorme, tanto che l’ammontare del capitale gestito da queste società viene stimato in un valore superiore al Pil mondiale. Quasi la metà delle azioni nel mondo sono nei portafogli di questo tipo di intermediari, dove il conflitto diventa sempre più forte. Perché negli ultimi anni è cresciuto il mito del così detto Roe, dell’alto ritorno dei capitali, dell’efficienza delle banche: solo 3 anni fa se una banca non aveva un Roe (quanto si guadagna in rapporto al capitale proprio investito) del 20% non era una buona banca. Non considerando che una banca che ha un ritorno del genere magari lo ha perché strozza i suoi clienti, correntisti e risparmiatori. 

E per raggiungere determinati obbiettivi di reddito e di guadagno, ha cominciato a crescere la filiera di prodotti finanziari sempre più complicati. Perché è indubbio che se tu vendi una cosa molto semplice non puoi applicarci commissioni incredibili, ma se inizi a vendere prodotti sempre più opachi, fondi di fondi, obbligazioni con meccanismi di indicizzazione così particolari che anche un esperto ha problemi a capirli, allora inizia a crearsi una distorsione cognitiva e lo squilibrio di conoscenza tra chi vende e chi acquista diventa fortissimo, e questo fa sì che il risparmiatore sia diventato sempre di più l’anello debole di questo meccanismo».

Come può difendersi un risparmiatore in un ambiente così difficile?

«E’ difficile rispondere a questa domanda. Per molti risparmiatori non è facile compiere delle scelte razionali in questo mercato, perché il nostro cervello cerca di ragionare in maniera molto semplice e molto veloce, troppo veloce e troppo semplice per come sono fatti i mercati finanziari. E ci fa chiedere soluzioni facili e preferire chi ci viene a dipingere un mondo semplice a chi ci racconta la vera complessità delle cose. Con troppi se e ma, anche se reali, è difficile che vendi qualche cosa. 

Le vendite sono fatte soprattutto sul rapporto di empatia. Io e te ci guardiamo e ci fidiamo l’uno dell’altro, ci sentiamo parte della stessa tribù. Spesso il rapporto tra il risparmiatore e la sua banca è di questo tipo, e a volte è sufficiente che chi sta allo sportello dica “fidati” e il cliente lo fa, anche se il prodotto è una schifezza. E tutto ciò è in gran parte legato alla difficoltà di capire il mercato di cui dicevamo prima. 

La classica frase è “io di queste cose non capisco, e quindi mi fido di te”. La prima grande barriera che esiste in questo mercato, che è anche il grande vantaggio di chi vende prodotti e servizi finanziari rispetto a chi li acquista è proprio questo alzare la bandiera bianca da parte della maggior parte dei risparmiatori. In Italia c’è poca cultura sull’investimento, e una delle poche possibilità che i risparmiatori hanno per formarsela è perdere i propri soldi. Così, quelli che si “fidavano” iniziano a riappropriarsi della gestione dei propri risparmi: si informano, tentano di capire, partecipano a corsi, iniziano ad avere un rapporto con il proprio consulente più professionale e più maturo, e magari cominciano a rivolgersi anche a professionisti diversi come ai consulenti indipendenti e non solo ai promotori dove un possibile conflitto di interessi è più probabile».

E il sistema dell’informazione che ruolo ha in questo contesto?

«Essere informati sui mercati è, da un lato, molto più semplice perché ci sono molte più fonti e canali di informazione, ma da un altro lato tutto questo è un problema, perché l’eccesso di informazione porta problemi. Come la cosiddetta overconfidence da parte del risparmiatore che si sente più sicuro perché ha a disposizione tutti questi dati. Ma poi leggi di test che confrontano i risultati di risparmiatori che dispongono di poche informazioni con quelli di risparmiatori o trader che invece ne hanno molte e scopri che chi ha operato di meno, chi è stato meno reattivo a tutti questi input informativi, ha avuto migliori risultati addirittura del 2 o 3% superiori. Quindi oltre ad essere informati, bisognerebbe saper discernere tra tutto quello che gli americani chiamano noise, rumore, che in realtà è la maggior parte di quello che leggiamo e sentiamo, e quello che realmente serve. E questo è un altro salto di competenza che taglia via, dal novero dei competenti, non solo la maggior parte dei risparmiatori, ma anche la maggior parte degli attori professionali. Infatti, se vai a vedere i loro risultati, nell’80-90% dei casi sono inferiori all’andamento del mercato».


Marco Delugan
marcodelugan@soldionline.it
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