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Tassazione titoli denominati in valuta estera

Per i titoli denominati in valuta estera ci sono conseguenze fiscali importanti. Le questioni principali riguardano la tassazione della valuta estera e dei titoli detenuti su conti esteri

di Giacomo Saver 20 giu 2013 ore 11:36
Investire in strumenti finanziari esteri comporta delle conseguenze fiscali che è bene conoscere. Dopo aver fatto chiarezza su che cosa si intende per investimenti esteri e sulle possibilità che ha il risparmiatore per investire al di fuori dal proprio Paese, vedremo le implicazioni delle scelte sul piano degli adempimenti fiscali.

Titoli esteri o in valuta estera?
- La prima precisazione da fare riguarda la differenza tra titoli esteri e titoli denominati in valuta estera. Sono due cose differenti. Normalmente con il termine titolo estero, infatti, si intende uno strumento finanziario emesso da un soggetto residente in uno Stato diverso dal nostro. Sotto questo profilo, quindi, anche i Bund tedeschi sono a tutti gli effetti titoli esteri.

La creazione della moneta unica ha fatto sì che oggi sia possibile investire in moltissimi titoli esteri denominati in euro. Questi strumenti finanziari non presentano nessun tipo di problema fiscale.
Possono essere acquistati in modo semplice presso qualunque banca italiana e sono quotati spesso in almeno uno dei due mercati obbligazionari del nostro Paese. Per contro in Italia troveremo titoli sia esteri sia emessi da soggetti residenti, denominati in valuta estera.

Le casistiche che si possono presentare in concreto sono quindi queste:
  • titoli esteri denominati in euro
  • titoli nazionali denominati in euro
  • titoli esteri denominati in una valuta non euro
  • titoli nazionali denominati in una valuta non euro
Le prime due tipologie di titolo non prevedono nessun adempimento fiscale: i proventi, infatti, sono tassati alla fonte dalla banca che verserà l'imposta direttamente allo Stato.

La tassazione della valuta estera - Il primo problema che si pone riguarda, per i titoli denominati in una valuta diversa dall'euro, la tassazione del guadagno in conto valuta. La questione è molto dubbiosa e non tutte le banche, purtroppo, applicano la normativa allo stesso modo. Diciamo che se non si dispone di un conto valutario i controvalori accreditati per capitale ed interessi sono automaticamente convertiti in euro sulla base del cambio corrente. Ne segue che anche la rivalutazione del cambio concorre alla determinazione dell'imponibile, insieme con gli interessi e gli altri proventi delle obbligazioni o delle azioni.

Se si dispone di un conto valutario, invece, ad essere accreditati saranno i controvalori in valuta estera, che saranno eventualmente tassati solo nel momento in cui saranno convertiti in euro, in un secondo momento. La norma prevede che i guadagni da conversione di conti in valuta siano tassati con aliquota del 20% solo se il saldo è superiore a 51.6645,69 euro (100 milioni di lire) per almeno 7 giorni lavorativi continui.

Ciò nonostante alcuni intermediari applicano comunque l'imposta, in misura precauzionale, anche se la rigida interpretazione della norma farebbe intravvedere la possibilità di esenzione della tassa.

I titoli detenuti su conti esteri - Diverso è il caso di strumenti finanziari detenuti presso banche o intermediari esteri. In questo caso esiste un adempimento ulteriore che consiste nell'inserimento nel quadro RW del modello unico delle attività finanziarie detenute all'estero e dei trasferimenti di importo superiore a 10.000 euro.

Il modo migliore per evitare complicazioni fiscali e adempimenti burocratici relativi agli investimenti espressi in una valuta diversa dall'euro consiste nell'effettuare le compravendite di strumenti finanziari tramite una banca italiana. In questo modo sarà l'intermediario a farsi carico di calcolare e versare le imposte per nostro conto allo Stato senza dover aggiungere adempimenti ulteriori.

Giacomo Saver
twitter: @segretibancari


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