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Pil, benessere, decrescita: come si comunica il nuovo paradigma di sviluppo

Nuovi parametri per un nuovo modello di sviluppo. L’importanza di farli capire e diventare di uso comune.

di Andrea Di Turi 21 nov 2011 ore 10:50
Indicatori di benessere che vadano oltre il Pil. Decrescita e downshifting. Definizione di un nuovo paradigma economico. Sostenibilità dello sviluppo. Tutti concetti di cui si parla da tempo e sui quali la crisi ha senz’altro contribuito ad accelerare il dibattito. Ma per far sì che diventino effettivamente di dominio pubblico e che entrino stabilmente nelle agende dei decisori politici, occorre che vengano comunicati in modo corretto, comprensibile a chiunque ed efficace.

Proprio per questo venerdì scorso la Fondazione Pubblicità Progresso, che nel 2011 celebra i suoi 40 anni, ha organizzato all’Università Iulm di Milano l’annuale Conferenza internazionale della Comunicazione sociale, che negli anni passati si era già occupata ad esempio del dono o della felicità in economia, dedicandola al tema “C4H-Communicatio for Happiness”. Dove si è appunto discusso di come effettuare, e di come comunicare, la transizione dal Pil ad altri indicatori, che possano affiancarlo per meglio individuare cosa si debba realmente intendere per sviluppo e benessere al di là della dimensione economica: dal Fil (Felicità interna lorda), coniato negli anni ’70 dal re del piccolo Stato asiatico del Bhutan, al Bil (Benessere interno lordo, o Better life index), proposto di recente dall’Ocse.

La conferenza ha avuto contributi di altissimo livello fra cui quello di Joseph Stiglitz, uno dei premi Nobel che hanno lavorato nella Commissione promossa dal presidente francese Sarkozy per studiare la questione del benessere economico, o di Maurizio Pallante, fondatore del movimento italiano per la Decrescita felice, che «hanno spiegato a che punto siamo – dice Alberto Contri, presidente di Pubblicità Progresso - nell’individuazione di questi nuovi parametri, che è necessario utilizzare per valutare il contesto attuale. Perché tutte queste questioni, poi, sono un fatto di comunicazione, dato che la definizione di un Pil, di un Fil o di un Bil di un Paese ha poi degli effetti sulla comunicazione sociale successiva, che è il nostro lavoro».

Come mai avete scelto questo tema ora?
«Un anno fa, quando abbiamo lanciato l’idea che avremmo sviluppato quest’anno, abbiamo pensato che il tema dei nuovi indicatori di benessere sarebbe diventato di grande importanza, com’è in effetti avvenuto. Abbiamo visto, infatti, il premier britannico Cameron che ha inviato a tutti i cittadini britannici un questionario su questo tema. E stiamo ad esempio assistendo al paradosso che in Giappone il Pil sta crescendo tantissimo perché si stanno spendendo molti soldi per la ricostruzione del dopo terremoto, ma non si può dire che le persone siano più felici».

Quanto è importante la comunicazione affinché questa nuova metrica dello sviluppo sia conosciuta e possa quindi affermarsi?
«Direi che è fondamentale, tutta la comunicazione. Se ci sarà uno sforzo complessivo nel far capire meglio come funzionano questi nuovi parametri, prima o poi diventeranno di uso comune. D’altro canto, fino all’altro ieri la parola spread sembrava un insulto, mentre adesso anche col taxista o col tabaccaio si parla di spread. Evidentemente perché ci hanno spiegato ogni giorno che cosa significa. Una maggiore consapevolezza la si ottiene con una migliore comunicazione complessiva e, certamente, anche con una migliore comunicazione sociale».

Questi nuovi indicatori hanno a che fare col cambio nel paradigma di sviluppo da molti invocato dopo la crisi. Su cosa occorre agire affinché concetti come la decrescita arrivino ai consumatori nel modo corretto?
«Non è semplice. La parola “decrescita”, ad esempio, sembra negativa. Invece può significare uno sviluppo responsabile, l’attenzione all’ambiente, al risparmio, al non spreco. O anche semplicemente acquistare prodotti che abbiano imballaggi poco ingombranti, che quindi non aumentino la spazzatura e che facciano consumare meno energia. Sono dunque concetti da diffondere in questo senso. Se si pensa a quando si è iniziato a non utilizzare i sacchetti di plastica al supermercato, la gente ha capito che il motivo era non inquinare e che magari valeva la pena comprare una borsa di tela e andar sempre a far la spesa con quella».

In effetti certi cambiamenti nelle abitudini di consumo e acquisto a volte avvengono in modo più semplice di quanto si immagini…
«Assolutamente. Sono ormai numerose le ricerche che dicono che i consumatori sono molto disponibili a consumare dei prodotti, anche pagandoli di più, che rispettano l’ambiente e consumano poca energia. Le alluvioni di queste settimane, ad esempio, sono state la dimostrazione che il riscaldamento globale non era una fandonia ma succede veramente. E succede perché c’è stato uno spreco enorme di energia. Si pensi all’utilizzo dei condizionatori: si comincia a ritenere, ad esempio, che se non si può fare a meno del riscaldamento, forse si può ridurre l’utilizzo dei condizionatori. Dei cambiamenti di vita, dunque, andranno promossi anche attraverso la comunicazione pubblica».

Il nuovo network internazionale che avete lanciato in occasione della conferenza di Milano va proprio in questo senso. Di che si tratta?
«Non era mai successo prima: abbiamo messo attorno a un tavolo le principali organizzazioni internazionali che, come noi, si occupano di comunicazione sociale, dagli Stati Uniti alla Russia, dal Brasile all’Olanda, al Messico. L’intenzione è quella di costruire un laboratorio, una sorta di Pubblicità Progresso internazionale, ed è stata lanciata per la prima volta proprio qui a Milano. Come dice anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nella prefazione al volume “Pubblicità Progresso. La comunicazione sociale in Italia” (edizioni Rai Eri, volume celebrativo dei 40 anni di Pubblicità Progresso, ndr), per una volta l’Italia ha un primato assoluto».

È appena nato il nuovo Governo. Su questi temi, nuova metrica e nuovo paradigma di sviluppo sostenibile, quale auspicio si sente di formulare?
«Sto vedendo che, dal punto di vista dello stile di comunicazione intrinseco, è già cambiato parecchio. Vediamo se potremo dare qualche consiglio anche dal punto di vista di una comunicazione pubblica che sappia comunicare al meglio anche i sacrifici. L’auspicio, comunque, è che riesca a tirarci fuori dalle secche nelle quali ci siamo arenati».


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Andrea Di Turi


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