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I vantaggi per l’impresa

L’investimento previdenziale, oltre che necessario, è sicuramente vantaggioso per il lavoratore, ma dal punto di vista dell’imprenditore ci sono dei vantaggi? Certo e in questo articolo li analizziamo uno per uno

di Jonathan Figoli 17 apr 2009 ore 16:06

Articolo a cura di ProfessioneFinanza.com

Parlando di previdenza dal punto di vista delle imprese occorre soprattutto distinguere le aziende italiane in due grandi blocchi: quelle che nell’anno 2006 avevano meno di 50 dipendenti a libro paga e quelle che nel medesimo anno avevano 50 o più dipendenti. Se dal punto di vista del lavoratore non cambia nulla l’essere assunto in una “piccola” o “grande” azienda (lui, il suo TFR, volendo lo lascia sempre al suo datore di lavoro) le cose cambiamo non poco dal punto di vista dell’imprenditore in quanto il “piccolo” imprenditore, nel caso in cui il dipendente non opti per la previdenza complementare, potrà tenersi il TFR in azienda utilizzandolo come forma di autofinanziamento mentre il “grande” imprenditore, in questa evenienza, sarà obbligato a trasferirlo al fondo di tesoreria presso l’Inps (si sottolinea come tale fondo sia diverso da quello residuale né quale conferisce il TFR nel semestre di silenzio assenso.

Questa distinzione è, tuttavia, importante solo in uno dei successivi casi di vantaggi riservati all’azienda quando il proprio dipendente opta di destinare il proprio TFR alla previdenza complementare. I vantaggi per l’impresa, difatti, possono essere riassunti nei seguenti punti:

 

  1. Vantaggio gestionale/amministrativo nel senso che non spetta all’azienda “tenere il conto” del TFR, degli anticipi già incassati, delle rivalutazioni effettuate o da effettuare, e, soprattutto del trovare le risorse per l’”inaspettata” liquidazione in caso di licenziamento (ma è sufficiente il restauro della casa).
  2. Possibilità nelle “piccole” imprese di dedurre dal reddito d’impresa il 6% del TFR destinato alla previdenza complementare dai propri dipendenti. Tale percentuale scende al 4% per le “grandi” aziende in quanto, in un modo o nell’altro, il TFR esce sempre e comunque (vedi sopra).
  3. L’esonero al pagamento dello 0,20% del reddito annuale lordo dei dipendenti che aderiscono alla previdenza complementare. Tale 0,20% è un contributo che le aziende devono versare al fondo di garanzia sul TFR presso l’Inps per ogni lavoratore che lascia il proprio TFR in azienda.
  4. La riduzione degli oneri sociali (assegni familiari, per maternità e per disoccupazione) per una percentuale crescente nel tempo dallo 0,19% dal 2008 fino allo 0,28% dal 2014 sempre calcolata sul reddito annuale lordo dei lavoratori aderenti alla previdenza complementare.
  5. Ma soprattutto il mancato onere di dover rivalutare le quote di TFR maturando (o maturato se destinato alla previdenza complementare) che sono state trasferite al fondo pensione. Questo vuol dire che il datore di lavoro non sarà più tenuto a dover rivalutare tutte le somme (maturate o maturande che siano) di TFR presenti in azienda al tasso dell’1,5% + il 75% dell’indice Istat dei prezzi al consumo; tasso che, ragionandoci bene, è imposto al piccolo artigiano, ristoratore, panettiere o fioraio che sia ma che nessun gestore finanziario professionale si impegna a riconoscere alle somme a lui affidate come investimento.
In più, se il datore di lavoro sceglie di versare un suo contributo (la scelta è obbligata nelle forme negoziali tale importo può essere integralmente dedotto dal reddito aziendale (con il limite di 5.164 euro annuali per ciascun lavoratore).


Jonathan Figoli
Jonathan.Figoli@professionefinanza.com
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