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Basta lavoro! Vivere di rendita è possibile. Ecco come fare

di Marco Delugan 23 giu 2009 ore 14:14

E’ il mestiere più desiderato del mondo, e tra i più condannati degli ultimi secoli. Un sogno per ricchi sfaccendati, secondo alcuni, una naturale predisposizione umana, secondo altri. Ma facendo un passo più in là, forse, e nonostante la crisi, siamo già abbastanza ricchi per cominciare a provarci. Non tutti, certo, forse una minoranza, ma molti di più di quanti ci siamo abituati a pensare. Di questo tratta “Vivere di rendita” (Edizioni Intra Moenia, 2008) l’ultimo libro di Cesare Valentini, formatore e pianificatore finanziario. Che ha guardato oltre i conti, e ha visto che…

Dottor Valentini, perché ha deciso di dedicare un libro al vivere di rendita?

«Io mi dedico professionalmente alla pianificazione finanziaria della famiglia, ma mi sono accorto che "vivere di rendita", non è un obiettivo di pochissimi ricchi. E' una aspirazione diffusissima. Se ne parla ovunque, riempie i blog, le serate, i dibattiti al caffè. Spesso è un pensiero profondo: vivere con quello che uno ha senza troppe aspirazioni di conquista e di possesso. Forse è così che va intesa, adesso, l’espressione “vivere di rendita”».

Secondo molti questa crisi potrebbe essere l'occasione per trasformare i modelli di consumo, per dare più spazio ai beni relazionali, ambientali e culturali, piuttosto che insistere sulla crescita materiale. Cosa ne pensa?
«E' possibile che lo sia. E la tensione verso l'accumulazione ci fa perdere degli obiettivi esistenziali importanti. Perché quando parliamo di vivere di rendita, parliamo dei fini del proprio agire economico e sociale. Non abbiamo ricette per la felicità, ma è dimostrato che il reddito pro capite è correlato alle misure di benessere e di felicità fino ad un certo punto. Se si sta nella media, i fattori non finanziari sono decisamente prevalenti».

Nell'introduzione del suo libro si parla della necessità di rivalutare il concetto di vivere di rendita. Ci spiega che cosa vuol dire?
«La condanna alla rendita della fine del '700 è venuta dai primi capitalisti. Si deprecava la rendita per favorire lo sviluppo del capitale. Come dire: capitale e lavoro, contro rendita. Ma soprattutto, capitale contro rendita. Sono categorie importanti, queste, non le buttiamo via, ma sono un po' vecchie, anche perché le differenze non sono più così nette. Prendiamo per esempio la pensione, che non esisteva duecento anni fa, mentre oggi è la rendita più importante di tutte, frutto del reddito da lavoro. Lo sviluppo del PIL, poi, non è sempre sviluppo umano. Voglio dire che questa condanna può essere discussa, può essere vista anche come un grande inganno. E se pensiamo che l'occidente potrebbe non vedere più tassi di sviluppo altissimi, allora vivere almeno in parte di rendita potrebbe diventare anche una necessità. C'è un filo rosso, poi, nella storia del pensiero, dove l'aspirazione più profonda, in tutti i paesi, in tutti i continenti e in tutte le epoche è quella di non dimenticare i fini più alti dell’agire umano, e in qualche modo di contenere un eccessiva preoccupazione per il possesso».

Fino a quando il consumismo non è diventato la benzina dello sviluppo
«Sì. Produrre di più è stata una liberazione dei desideri rispetto alla pura sopravvivenza per grandi popolazioni. Ma sin da subito ha creato nuova dipendenza, bisogni indotti, necessità di emulazione, spreco, e appunto la rincorsa al consumo. E' quello che poi abbiamo visto diventare una vita a credito. La mia proposta di pianificazione finanziaria è quella di limitare e controllare con attenzione le esposizioni debitorie per evitare i rischi di dipendenza, di scarsità di controllo. La leva del credito è fondamentale, aumenta la flessibilità nelle proprie decisioni, ma è indubbio che abbia creato difficoltà a milioni di famiglie. Vivere di rendita, nella mia idea, vuol dire vivere al di sotto dei propri mezzi, avere risorse sufficienti e uno stile di vita che lo consenta».

Ci sono tracce di comportamenti nella società attuale che sono in linea con la sua idea del vivere di rendita?
«Più che tracce, c'è uno sviluppo diffuso verso il non dover vivere soltanto della propria fatica quotidiana, ma anche di quanto si è accumulato prima. La pensione è un tipico esempio: riesci ad accumulare per poi poter consumare per anni o per decenni. Ma ci sono anche movimenti sociali che vanno in questa direzione. In America, ad esempio, si è cominciato a parlare di downshifting, della riduzione della dipendenza dal lavoro, di riduzione del proprio reddito per acquisire tempo. Si è parlato di pensionamento anticipato per contrastare la tendenza all'allungamento della vita lavorativa. Anche nello sviluppo del lavoro indipendente e autonomo io vedo questo tipo di motivazione, almeno ideale. Poi, certo, in molti casi è diventato espulsione e sotto lavoro. Nel lavoro dipendente c'è stato un filone di impegno, anche sindacale, per la cosiddetta rivoluzione del tempo scelto, per orari flessibili. Non è solo un mutamento culturale, ma anche un mutamento tecnico nella pianificazione finanziaria che dal cosiddetto piano di accumulazione del capitale si sta spostando verso quello che chiamiamo wealth protection: la conservazione della ricchezza, il buon uso delle risorse».

Chi può vivere di rendita, e come?
«Vivere di rendita è quasi impossibile e forse indesiderabile per i giovanissimi, mentre è possibile e desiderabile vivere in gran parte di rendita anticipando un semi pensionamento e cambiando lo stile di vita per molti altri. Lo stile di vita è decisivo. E questo vuol dire che si deve partire dal controllo del conto economico. Bisogna guardare quanto si consuma e quanto si desidera consumare. Poi osservare lo stato patrimoniale, e capire se si possono avere redditi extra lavorativi, come quelli da locazione. Considerare alcuni aspetti di relazione tra le generazioni, perché quasi tutto il patrimonio che si ha è spesso patrimonio ereditato. In questo senso potrebbe essere importante considerare anticipi di eredità, ad esempio. Solo alla fine si ricava quale reddito integrativo è necessario per cambiare vita. E’ un calcolo complesso, da fare con attenzione».

Non solo tecnica, ma anche cambiamento dello stile di vita. E quindi esempi, testimonianze che aiutino a ridefinire o propri obbiettivi
«Ci sono testimonianze, e anche libri, di gente che ha ridotto le spese e ha riorganizzato la propria vita. Ci sono movimenti come quello della semplicità volontaria, quelli della lentezza, come Slow Food e Slow City. Nel libro racconto di aver ridotto del 20% le mie spese, indico dei dati precisi su dove sono riuscito a risparmiare e dove no. Non è facile, ci vuole tempo e pazienza. Buttarsi senza criterio potrebbe essere molto pericoloso. Ma la riduzione dei consumi è possibile. Molti si spostano per avere un pensionamento in luoghi dove il costo della vita è più basso. E' diffuso in Inghilterra, in Francia e in Germania. Non penso che gli italiani faranno lo stesso. Però il percorso è questo: vivere di ricchezza già accumulata: di rendita, appunto».

Nel suo libro si intravede un intreccio con l'economia della decrescita. Che rapporto c'è tra la sua visione e l'economia della decrescita?
«Nelle prefazione, il politologo Giorgio Galli definisce il mio libro come l'aiuto di un pianificatore finanziario a un percorso di decrescita serena, come la intende il politologo francese Serge Latouche. Anche se decrescita, purtroppo, è un termine negativo, privativo. Ma la ricerca di un gusto sociale, di una predisposizione alla convivialità, di un senso del benessere sono fondamentali anche nella mia visione. Ma bisogna fare calcoli accurati per non dover pensare sempre al denaro».

Marco Delugan
marcodelugan@soldionline.it


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