Uscire dall’euro? Un affare per l’Italia e i Piigs, un dramma per i tedeschi
Secondo uno studio di Bank of America-Merrill Lynch, porre fine alla moneta unica rilancerebbe le economie dell’eurozona, a partire da Irlanda e Italia. Gli unici a perderci sarebbero tedeschi e austriaci, mentre anche i falchi olandesi e finlandesi registrerebbero un incremento del Pil
di Carlo Sala 25 lug 2012 ore 09:49Uno studio condotto da David Woo e Athanasios Vamvakidis per Bank of America-Merrill Lynch calcola infatti che un’eutanasia dell’euro, vale a dire un percorso coordinato tra tutti i Paesi dell’Unione monetaria per porre fine alla moneta comune, avrebbe un impatto positivo su tutti quasi i componenti del club dell’euro, liberando energie perché il Pil di ciascuno di loro torni a crescere. E i maggiori beneficiari sarebbero l’Irlanda, con una crescita stimata del 7%, e l’Italia, che registrerebbe un +3%.
I critici che hanno dipinto l’euro come il Quarto Reich – ma anche quanti sospettano complotti anglosassoni contro l’euro - potranno trarre dallo studio conferma alla propria impostazione. Germania e Austria risultano infatti le più penalizzate dalla fine dell’euro: le loro economie nazionali registrerebbero una contrazione rispettivamente del 7% e del 3%.
Viceversa, offre una base a tutti i Piigs, i Paesi indicati come i colpevoli della debolezza dell’Eurozona, a ribellarsi ai voleri di Berlino. Dopo Irlanda e Italia, sono infatti Grecia (con un +3% del Pil che colloca Atene e Roma sullo stesso gradino) e Spagna (+2%) coloro che hanno più da guadagnare dalla fine dell’euro, mentre il Portogallo (con una crescita stimata all’1% in caso di ripristino della valuta nazionale) appaia un po’ a sorpresa la Francia (anch’essa in crescita dell’1% se tornasse al franco), e 2 “falchi” del rigore nell’Eurozona come Olanda e Finlandia.
Pur di poco (+1% del Pil), mettersi l’euro alle spalle sarebbe conveniente anche per L’Aja ed Helsinki, mentre il Belgio si trova in posizione assolutamente neutra: la sua crescita economica è stimata identica tanto che l’euro prosegua il proprio cammino quanto in caso di ritorno alle valute nazionali.
I 2 autori dello studio chiaramente si mantengono accademicamente asettici senza dare alcuna indicazione di carattere politico, ma l’effetto pratico dello studio è chiaro a loro per primi: di fronte a una Germania che ha tutto da perdere, altro che abbassare il capo l’Italia potrebbe alzare la voce nei confronti di Berlino. L’Italia ha più incentivi della Grecia a uscire volontariamente dalla zona euro, a nostro avviso, mentre sarà più costoso per la Germania mantenere l’Italia all’interno. Ciò significa che l’Italia potrebbe essere ancora più riluttante della Grecia ad accettare dure condizioni per rimanere” osservano Woo e Vamvakidis.
PAESE
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IMPATTO SUL PIL
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Irlanda
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+7%
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Italia
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+3%
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Grecia
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+3%
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Spagna
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+2%
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Francia
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+1%
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Portogallo
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+1%
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Olanda
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+1%
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Finlandia
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+1%
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Belgio
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0%
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Austria
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-2%
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Germania
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-7%
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Anche tenendo conto del maggior prezzo che i vari Paesi dell’eurozona dovrebbero pagare per oneri denominati in valuta straniera o nel defunto euro, in virtù della svalutazione che la più parte delle monete nazionali registrerebbero dopo la fine della divisa comune, gli unici a piangere – secondo lo studio - sarebbero tedeschi e austriaci: per tutti gli altri la crescita post-euro sarebbe tale da coprire tali costi con tanto di margine di profitto.
Voci critiche rispetto a questo studio considerano soprattutto questa parte dell’analisi di Woo e Vamvakidis eccessivamente ottimistica, anche tenuto conto dei margini di intervento di cui uno Stato sovrano gode per evitare il fallimento in presenza di una valuta deprezzata con cui pagare debiti internazionali; Woo fa leva sul precedente della Russia, che nel ’98 dichiarò il default del debito sovrano e l’anno successivo andava a gonfie vele sui mercati, per replicare che “il mercato ha una memoria molto corta. Se fai le giuste politiche, e ci sono opportunità per gli investitori di fare soldi, al mercato non importa granché.”
Carlo Sala
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