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Costi della politica: l’austerity del governo Letta vale 34,8 milioni di euro l’anno

3 milioni dall’abolizione del cachet da ministro e di 31,8 dai rimborsi ai partiti. Non risolveranno il problema del debito pubblico, ma almeno l’austerity non toccherà più solo ai cittadini

di Carlo Sala 30 apr 2013 ore 16:01
Le misure di austerity per il sistema politico e istituzionale annunciate dal premier Enrico Letta dovrebbero concretizzarsi in risparmi per circa 34,8 milioni di euro l’anno. Non è una grande cifra rispetto a un debito pubblico complessivo vicino ai 2000 miliardi di euro e proiettato al 130% del Pil, ma segna un passo verso l’idea che l’austerity non tocchi solo il privato cittadino e le aziende ma anche le strutture pubbliche.

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L’abolizione del doppio stipendio di parlamentare e componente del governo che lascerà ai ministri la sola indennità di parlamentare consentirà infatti risparmi complessivi intorno ai 3 milioni di euro l’anno. Tra i ministri che non sono parlamentari e a cui quindi non si applica il taglio del cumulo di retribuzioni annunciato dal premier, Graziano Del Rio ha già annunciato che rinuncerà comunque al cachet governativo, mantenendo la sola retribuzione di cui gode (per legge) come sindaco di Reggio Emilia (carica compatibile con quella di ministro). Altrettanto potrebbe fare, ma finora non ha detto nulla in proposito, Flavio Zanonato, pure ministro e sindaco (di Padova).

L’abolizione dei rimborsi elettorali per i partiti dovrebbe invece consentire risparmi pari a 31,8 milioni di euro l’anno: il budget previsto per questi ultimi dopo le ultime elezioni era infatti di 159 milioni nell’arco di 5 anni, salvo scioglimento anticipato della legislatura. Una riforma del sistema dei rimborsi elettorali varata la scorsa estate, per limitare l’accesso ai rimborsi alle sigle che conseguissero almeno un eletto in uno dei due rami del Parlamento, ha fatto sì che il peso dei partiti sulle casse pubbliche venisse già ampiamente ridimensionato prima delle scorse elezioni. A Letta è così rimasto il semplice compito di chiudere con un sistema già peraltro abolito anni fa dai cittadini (per via referendaria) e il cui mantenimento di recente era stato invece perorato dai 10 saggi nominati dal Quirinale in pendenza del nuovo governo. 

Carlo Sala
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