I perché della decrescita felice: intervista a Maurizio Pallante
Cosa vuol dire decrescita, e perché decrescere è desiderabile. Come è possibile farlo. Ce lo spiega in questa intervista Maurizio Pallante del Movimento per la decrescita felice
di Andrea Di Turi 14 feb 2013 ore 12:55Crescita è sempre uguale a sviluppo o a progresso? Decrescita significa crescita negativa o che altro? Come si fa a continuare a crescere, come impone la “dittatura” del Pil, se le risorse di cui il pianeta dispone sono inevitabilmente finite, cioè non infinite come si pretende sia invece la crescita? Come si può pensare di decrescere se la popolazione che vive sul pianeta continua ad aumentare e preme per avere accesso a livelli di consumo, ad esempio in termini di energia, che fino a pochi anni fa si riteneva potessero essere appannaggio solo dei Paesi industrializzati?
Grandi questioni. Che però entrano nella vita di tutti i giorni. Perché vi è ormai diffusa consapevolezza che a contribuire in modo determinante a dettare le regole sono anche le scelte di acquisto e consumo che tutti noi compiamo quotidianamente, in altre parole i nostri stili di vita: se usiamo l’automobile anche per i piccoli spostamenti o preferiamo i mezzi pubblici o la bicicletta; quanta carne rossa o altri cibi ad alta impronta ecologica entrano nella nostra dieta alimentare; quanti elettrodomestici utilizziamo nelle nostre abitazioni, magari tenendoli sempre in stand by; quanti rifiuti produciamo e quanti di questi sono raccolti in modo differenziato; quante cose utilizziamo in modo condiviso, dai mezzi di trasporto (car sharing & pooling) agli spazi di lavoro (co-working), agli stessi luoghi dove abitiamo (co-housing). E così via.
Sono in molti, insomma, a chiedersi se la decrescita possa essere la strada per lasciarci alle spalle la crisi. Ma anche cosa si debba davvero intendere per decrescita. E poi come la si possa raccontare, narrare, per creare un nuovo immaginario collettivo, una nuova idea di mondo possibile e realizzabile. Che sostituisca quella che al suo interno celava le cause stesse della crisi epocale che stiamo vivendo.
Per saperne di più e aiutare a chiarirsi le idee, abbiamo chiesto a uno dei più autorevoli esponenti delle teorie della decrescita e in generale dell’altra economia: Maurizio Pallante, fondatore del Movimento per la Decrescita Felice (MDF) e presidente dell’omonima associazione, saggista con una vasta produzione di volumi alle spalle e, fra le molte altre cose, anche blogger.
Le domande a cui gli abbiamo chiesto di rispondere vengono in buona parte dal web, da tutti coloro (li ringraziamo) che hanno aderito all’invito che abbiamo pubblicato su Facebook per realizzare un’intervista in stile social. Chiunque ha potuto postare il suo quesito e non sono mancate le domande un po’ polemiche, che comunque abbiamo accolto perché proposte in modo garbato e sempre costruttivo. Il nostro compito è stato selezionare quelle che ci sono parse le più stimolanti (in ogni caso si possono leggere tutte su Facebook), a cui ne abbiamo aggiunte altre.
La decrescita è più efficace se parte dal singolo o dalla collettività?
Per rispondere cito una frase di Gandhi: «Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo». È necessario attuare dei cambiamenti nella propria vita, se si vuole avere l’autorevolezza per proporli agli altri, ma non possiamo limitarci a questo: dobbiamo impegnarci affinché diventino i cambiamenti del mondo. È importante agire in entrambe le direzioni.
Per decrescere ed essere felici bisogna forse cambiare il sistema valoriale. Come fare esperienze che incidano in questo senso? Che possano, cioè, far esperire che esiste un altro modo di vivere e di vivere felici, tanto da sceglierlo?
C’è una distinzione di fondo da fare ed è una caratteristica specifica del MDF: quella tra il concetto di merce e il concetto di bene. Si dice, infatti, che il Pil, l’indicatore della crescita, misuri la quantità dei beni prodotti e dei servizi forniti: in realtà, il Pil è un indicatore monetario, che può sommare solamente i valori aggiunti monetari degli oggetti, per cui considera solo le merci. Per questo diventa importante distinguere: mentre i beni sono oggetti o servizi che rispondono a un bisogno o soddisfano un desiderio, le merci sono oggetti o servizi che si comprano. Siccome da generazioni nei Paesi occidentali siamo abituati a comprare tutto ciò che ci serve, e quello che compriamo sono merci mentre quello che ci serve sono beni, tendiamo a confondere questi due concetti, che non sono alternativi. Anzi, fra beni e merci ci sono quattro tipi di relazioni.
Che tipi di relazione esistono tra “beni” e “merci”?
Innanzitutto ci sono merci che non sono beni: tutti gli sprechi, come il cibo che si butta o l’energia sprecata in una casa mal costruita. Ad esempio, in Italia per il riscaldamento invernale mediamente consumiamo 200 kwh/mq/anno, sarebbe a dire 20 litri di gasolio o 20 metri cubi di metano. In Germania il massimo è 70 kwh/mq/anno. Le classi migliori arrivano a consumarne 15. Le case mal costruite, dunque, disperdono una grandissima quantità di merci che si pagano, che siano gasolio o metano, ma che non soddisfano nessun desiderio o bisogno, per cui non sono beni. Secondo tipo di relazione: ci sono beni che si possono avere solo sotto forma di merci, sono i beni a tecnologia evoluta o che richiedono capacità professionali elevate. Ad esempio, se ho bisogno di fare una risonanza magnetica o di un computer, non posso far altro che comprarli. Terza possibilità: beni che si possono ottenere non sotto forma di merci. Vale a dire tutto quello che si può avere con l’auto-produzione o sotto forma di economia del dono e della reciprocità. Infine, i beni che non si possono avere sotto forma di merci: sono i beni relazionali.
Dunque, che cos’è la decrescita?
Da una parte, è la diminuzione della produzione e del consumo delle merci che non sono beni; dall’altra, è l’aumento della produzione e dell’uso dei beni che non passano attraverso lo scambio mercantile. Quindi non c’è nessun concetto di rinuncia, di sacrificio o ritorno al passato. Si tratta di utilizzare l’intelligenza per non sprecare le risorse della Terra: stare bene consumando meno. Non perseguiamo il “meno” come valore in sé, perché così facendo resteremmo nella logica quantitativa di chi persegue il “più”: perseguiamo il meno quando è meglio e cerchiamo di capire quando il più corrisponde al peggio, che è ciò che non vogliamo.
Per questo utilizzate proprio il termine decrescita?
Esattamente. Mi rendo conto che possa creare sconcerto. Ma dobbiamo cominciare a capire che il concetto di crescita non corrisponde al concetto di miglioramento: questo è l’elemento forte e la parola decrescita ci costringe a riflettere. In questa fase, ad esempio, siamo in recessione, che non è certo la decrescita: la recessione è una riduzione indiscriminata e non controllabile del Pil. La decrescita, invece, è una diminuzione selettiva e guidata del Pil, cioè delle merci che non sono beni. Per analogia, è la differenza tra una persona che non mangia perché non ha da mangiare e una che non mangia perché ha deciso di fare la dieta. In un’economia votata alla crescita, la recessione è una negazione degli obiettivi e crea gravi problemi, come la disoccupazione. La decrescita, invece, non solo non crea problemi, ma li risolve: per fare in modo che una casa invece di 20 litri di gasolio ne consumi 7, riducendo le dispersioni, c’è molto lavoro da fare, si crea occupazione e soprattutto un’occupazione utile, che riduce il prelievo delle risorse della Terra e riduce le emissioni di sostanze inquinanti.
Come sta andando la sua esperienza con l’amministrazione comunale di Parma, dalla quale le sono stati richiesti consigli (su base gratuita, è bene precisarlo) su temi di energia e ambiente? Sono state prese decisioni o iniziative, o sono in cantiere per il prossimo futuro, che si ispirano alle teorie della decrescita?
C’è un progetto pilota di ristrutturazione energetica di un edificio pubblico, una scuola. Un gruppo di lavoro che ha collaborato con me ha realizzato un progetto, l’ha presentato al Comune che a sua volta l’ha presentato alla Regione Emilia-Romagna perché dovrebbe essere co-finanziato dai due enti pubblici. Noi abbiamo dato una consulenza. Al momento si attende la risposta della Regione. Se dovesse andare in porto sarebbe un progetto importante, e ce ne sarebbe poi già un altro pronto, perché consente di ridurre gli sprechi di un edificio scolastico e di pagare l’investimento con i risparmi che si riusciranno ad ottenere.
Quali sono i 4-5 punti di una possibile Agenda della Decrescita da contrapporre all'Agenda della Crescita che molti politici propongono oggi per l'Italia, soprattutto in questi mesi di campagna elettorale?
Abbiamo prodotto un documento (“Proposta di confronto su un progetto per superare la crisi, creare un’occupazione utile e dare un futuro ai giovani”, ndr) in cui sono indicate sia delle proposte, sia i soggetti sociali che possono essere interessati a portarle avanti. Sta girando e abbiamo avuto dei primi incontri. Posso dire che queste nostre proposte sono state accettate in maniera convinta dai gruppi locali del Movimento 5 Stelle che mi hanno chiamato per parlarne.
Quali sono, dunque, queste priorità?
Sono sostanzialmente tre e si inquadrano in un contesto generale di de-globalizzazione e di ri-localizzazione dell’attività economico-produttiva. La prima è la sovranità alimentare. L’agricoltura basata sulla chimica e la mondializzazione dei mercati hanno fatto sì che per avere 1 caloria di cibo servano 5-12 calorie fossili; c’è l’aumento del prezzo delle fonti fossili e la diminuzione della loro disponibilità; poi l’aumento dei terreni utilizzati per la produzione dei bio-carburanti, e così via: tutto ciò ha comportato e comporterà un aumento continuo dei prezzi dei generi alimentari, che tra 2002 e 2012 è stato del 170% in media. Noi proponiamo di valorizzare l’agricoltura contadina di prossimità, il rapporto diretto tra produttori e consumatori organizzati nei Gas, per favorire la sovranità alimentare e non dover dipendere, per l’approvvigionamento, dall’andamento dei prezzi del petrolio e dal mercato mondiale.
La seconda proposta è l’auto-sufficienza energetica, da perseguire con due passaggi: la riduzione degli sprechi e la sostituzione delle fonti fossili con le fonti rinnovabili per la soddisfazione del fabbisogno residuo, cioè quello rimanente dopo la diminuzione degli sprechi. Sempre per aumentare la capacità delle comunità locali di resistere agli choc che verranno prodotti dall’avanzare della crisi economica, energetica e ambientale.
La terza, infine, consiste nello sviluppo delle Pmi, dell’artigianato, dei professionisti, per fornire direttamente ai consumatori tutta una serie di servizi che oggi invece vengono affidati al mercato mondiale. Invece di avere, ad esempio, aziende conto-terziste di grandi aziende multinazionali dei capi d’abbigliamento, proponiamo che si vendano direttamente ai consumatori, anche attraverso i Gas, prodotti senza marchio. I quali, proprio perché il marchio incide enormemente, fino all’80%, sul prezzo di vendita, possono essere realizzati con tecniche meno inquinanti anche se magari più costose, ri-localizzando le attività in Italia, assumendo i lavoratori a tempo indeterminato con compensi giusti e nel rispetto dei loro diritti: gli extra-costi che tutto ciò comporterebbe, infatti, sarebbero più che abbondantemente compensati dalla riduzione dei costi legati al lavoro come conto-terzisti sul mercato mondiale e all’incidenza del marchio sul prezzo finale di vendita.
Proposte come queste come potrebbero essere diffuse a livello di sistema?
Occorre lavorare in tre direzioni. Cambiare gli stili di vita, sviluppare le tecnologie che riducono gli sprechi, fare proposte a livello politico-istituzionale: sono le tre zampe, come noi diciamo, dello sgabello della decrescita. La somma di questi aspetti può mettere in moto un cambiamento interessante, dal punto di vista ambientale, economico-produttivo e occupazionale.
Grazie a Maurizio Pallante.
Andrea Di Turi
@andytuit