Indici etici, il “benchmark” della finanza etica
di Andrea Di Turi 4 nov 2010 ore 08:34L’introduzione dei primi indici azionari etici rispondeva all’esigenza di investitori che volevano operare un filtro fra i titoli delle società presenti sui listini di Borsa, selezionando solo quelli rispondenti a determinati requisiti sociali e ambientali. Ma soddisfacevano anche un altro bisogno, cioè quello di misurare quanto un investimento improntato ai criteri della finanza etica può rendere: tali indici, infatti, fanno sì che sia più semplice e immediato il confronto tra il rendimento, o performance, di un paniere di titoli costruito secondo criteri socialmente responsabili e il rendimento di un paniere tradizionale.
Anche per questo motivo, gli indici etici sono stati via via utilizzati, ad esempio da chi colloca sul mercato fondi comuni d’investimento etici, come indici benchmark per misurare la redditività che un prodotto può offrire. Alcuni di essi, poi, hanno acquisito negli anni visibilità e peso notevoli, al punto che l’essere inclusi o esclusi da questi indici è diventato, per molte società quotate, un preciso obiettivo da conseguire per dimostrare la bontà dei propri risultati in termini di responsabilità sociale e ambientale.
Indici etici: un po’ di storia
Pioniere nel campo degli indici etici internazionali è stato l’indice Dsi400 (Domini Social Index 400), lanciato nel 1990 dalla società statunitense di analisi e ricerche sulla sostenibilità Kld (la società è stata successivamente acquisita da Risk Metrics Group, a sua volta poi acquisita da Msci, e l’indice ha cambiato denominazione prima in Ftse Kld 400 Social Index e poi nell’attuale Msci Kld 400 Social Index).
Una tappa importante nello sviluppo degli indici etici è stata segnata nel 1999, quando Dow Jones, leader mondiale nel campo degli indici finanziari, in collaborazione con un’altra società di rating etico, la svizzera Sam (Sustainable asset management), ha introdotto l’indice etico Dow Jones Sustainability Index (Djsi), divenuto il più celebre al mondo. Oggi, come del resto è successo un po’ a tutti i maggiori indici etici internazionali, Djsi è in realtà una famiglia di indici etici: il più importante è il Djsi World, che comprende circa il 10% delle maggiori 2.500 società quotate del mondo con le migliori performance Esg (ambientali, sociali e di governance).
Nel 2001 è stata la volta della Borsa di Londra di dotarsi di un indice ispirato ai principi e criteri di responsabilità sociale. Con la consulenza dell’istituto di ricerca britannico Eiris, è stato così lanciato l’indice Ftse4Good.
In Italia, sono appena stati lanciati i primi indici etici o socialmente responsabili della Borsa Italiana. Si tratta di due indici, Ftse Ecpi Italia Sri Benchmark e Ftse Ecpi Italia Sri Leaders, che raggruppano le migliori società quotate sul listino di Piazza Affari in termini di performance Esg. A lanciarlo, in collaborazione con gli inglesi di Ftse, è stata la società italiana di analisi e ricerca sulla sostenibilità Ecpi, che una decina d’anni fa fu protagonista anche del lancio del primo indice etico paneuropeo, Ethical Index Euro.
Come funzionano gli indici etici
Gli indici etici utilizzano gli stessi criteri del rating etico, anzi si può dire che ne rappresentano la massima espressione. In un certo senso, quindi, sono lo strumento di finanza etica più visibile.
Va subito chiarito, però, che oltre a criteri di ordine Esg, gli indici etici devono evidentemente anche rispondere, come qualsiasi altro indice di Borsa, a determinati criteri di composizione e calcolo (ad esempio in termini di rappresentatività dell’intero listino, o in termini di peso massimo che viene assegnato ai titoli che hanno maggiore capitalizzazione). Ciò garantisce anche la confrontabilità di ogni indice etico con un indice tradizionale di riferimento, necessaria perché abbiano significato i confronti sulle performance. Per fare un esempio, l’indice Djsi World ha come suo indice di riferimento l’indice Msci World, gli indici etici italiani Ftse Ecpi Italia Sri sono confrontabili con l’andamento dell’indice Ftse Italia All-Share e così via.
La maggioranza degli indici etici oggi presenti sulle piazze finanziarie mondiali utilizza sia i criteri negativi sia i criteri positivi tipici della finanza etica, variamente combinati. All’interno delle famiglie di indici, ad esempio, vi possono essere indici focalizzati su determinate aree geografiche (ad esempio Dow Jones Sustainability Japan Index) come pure specializzati nell’escludere società appartenenti a determinati settori economici (ad esempio Dow Jones Sustainability Europe Index ex Alcohol, Tabacco, Gambling, Armaments & Firearms).
Sono solitamente considerati indici etici, inoltre, anche quelli che considerano un’unica dimensione di responsabilità sociale, ad esempio quella ambientale, e inseriscono nei loro panieri le società quotate sulla base delle loro sole performance ambientali: ne è un esempio il Carbon Disclosure Leadership Index, che valuta la riduzione nelle emissioni di gas serra che una società riesce ad ottenere, oppure il Ftse Cdp Carbon Strategy Index. Il numero di questi indici, tuttavia, che si possono definire verdi, green o ambientali, sta rapidamente aumentando al punto da costituire una categoria di indici azionari a sé stante.
L’importanza degli indici etici
Come si accennava, l’importanza degli indici etici risiede nel fatto che essi danno grande visibilità e riconoscibilità alle aziende che ne fanno parte. Ciò significa che l’inserimento negli indici etici è, per una società quotata, una sorta di bollino di qualità delle sue pratiche sociali e ambientali, in pratica un riconoscimento della sua reputazione.
C’è anche un aspetto più semplicemente finanziario. Dato che una parte dei fondi etici presenti sui mercati investe i propri asset prendendo a riferimento proprio i titoli delle società che compongono un determinato indice etico, l’essere presenti in un paniere di un indice etico significa poter diventare oggetto e quindi intercettare una parte di quegli investimenti.
Alla fine di settembre, ad esempio, l’insieme degli asset gestiti a livello mondiale sulla base degli indici etici Djsi ammontava a circa 8,7 miliardi di dollari (circa 6,2 miliardi di euro). Anche in Italia ci sono fondi etici che prendono a riferimento i panieri degli indici etici per selezionare i propri investimenti.
I limiti degli indici etici
Proprio per l’importanza e la risonanza che gli indici etici internazionali più celebri hanno ormai da anni, le loro scelte, in particolare al momento della revisione annuale in cui viene resa nota la nuova composizione dei panieri, con le inclusioni e le esclusioni effettuate, sono guardate con grande attenzione. E non di rado sono state criticate. In primo luogo per una mancanza di trasparenza, poiché spesso non vengono date esaustive informazioni sulle motivazioni che hanno determinato certe scelte.
Critiche sono anche state mosse per il fatto che alcune società quotate sono contemporaneamente presenti in un indice ed escluse da un altro: ciò, infatti, mostra che esistono differenze anche importanti, e non sempre facilmente percepibili, fra i vari modelli di valutazione Esg adottati oggi a livello internazionale. Ma, soprattutto, tale situazione offre il fianco agli scettici che non ritengono affidabile e scientifico il modello di valutazione Esg su cui gli indici etici, come il rating etico, si basano, poiché lo considerano esposto al rischio di eccessiva soggettività.
Anche per questo motivo sono state avviate iniziative che intendono giungere alla definizione di modelli di valutazione e analisi il più possibile omogenei. Un percorso che si annuncia tuttavia non breve e non semplice.
Per approfondimenti:
Finanza etica. Cioè?
I fondi etici o socialmente responsabili (Sri)
Rating etico, il cuore della finanza responsabile
Fondi pensione e finanza etica: affinità elettive
Andrea Di Turi
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