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Studio angloamericano: la salute dei conti grazie all’austerity compromette salute e vita delle persone

La riduzione della spesa pubblica corrisponde un aumento dei suicidi. E tra i disoccupati la propensione a togliersi la vita è il doppio rispetto a quella di chi ha un lavoro

di Carlo Sala 29 mag 2013 ore 11:56
Se da un lato il calo delle nascite in Italia rischia di rendere insostenibile il debito pubblico pro-capite, come osservato dal Financial Times, dall’altro le politiche di austerity per ridurre il debito stesso rischiano di consentire risparmi attraverso la riduzione – o addirittura l’autoriduzione per suicidio - della popolazione che usufruisce della spesa pubblica (anzitutto sotto forma di welfare state e di posti di lavoro).

Non è una battuta macabra, è l’evidenza empirica messa in luce da due studiosi delle università di Oxford (UK) e Stanford (Usa) riportati dal New York Times. Sulle colonne del quotidiano americano gli studiosi, David Stuckler e Sanjay Basu prendono spunto dal suicidio di Romeo Dionisi e Anna Maria Sopranzi (la coppia di pensionati di Civitanova Marche che viveva con i 500 euro di pensione di lei ma si vergognava di chiedere aiuto), per illustrare le conclusioni cui sono pervenuti nel saggio “The Body Economic: Why Austerithy Kills”. Il suicidio, sostengono, rappresenta una delle “conseguenze inevitabili del peggioramento dell'economia”. Ricercatore in sociologia ad Oxford Stuckler, assistente di medicina ed epidemiologia a Stanford Basu, i due fanno presente che la relazione tra ciclo economico e suicidi nelle società industrializzate segue uno schema ben preciso: “La correlazione tra disoccupazione e suicidi è stata osservata sin dal XIX secolo” e ne è emerso che “la probabilità che persone alla ricerca di un lavoro si tolgano la vita è doppia rispetto a quella di chi ha un'occupazione”.

Commissionare lo scavo di buche solo per commissionare subito dopo il riempimento di quelle medesime buche - secondo la formula con cui si esemplificano le teorie di John Maynard Keynes per sostenere l’occupazione - salva dunque delle vite? I due studiosi non arrivano a dirlo, non escono dal loro ambito di specializzazione fino a suggerire ricette economiche, ma mettono in luce i dati da cui partire per immaginare soluzioni. “Basti pensare – scrivono - a che cosa è avvenuto in Svezia. Le politiche sociali e di welfare di quel Paese, in seguito all’ultima recessione, hanno fatto diminuire drasticamente l’alto numero di suicidi. Cosa che invece non è avvenuta nei Paesi vicini che non hanno attuato le stesse politiche. Così, allo stesso modo, in Grecia si è visto che tagliare le spese di prevenzione (-40%, secondo Stuckler e Basu, ndr.) non ha fatto altro che far aumentare in modo esponenziale l’incidenza dell’Hiv (+200% stimano i due, ndr.), mentre la mancanza di denaro per serie disinfestazioni da insetti ha persino fatto tornare la malaria”.

Come emerge dall’esempio della Grecia, il nesso tra tutela della vita e spesa pubblica ha una serie di sfumature: non riguarda solo il caso estremo del suicidio da un lato e non si limita alla spesa pubblica in funzione della creazione di posti di lavoro dall’altro. La maggior disoccupazione è una concausa, al fianco della riduzione della spesa pubblica generale in ossequio all’austerity, che ha provocato un incremento del 50% dell’uso di droghe tra i giovani di Usa ed Europa. E reciprocamente, l’uso di droghe non è ancora suicidio, almeno non nella formula classica (alla quale i due studiosi ascrivono oltre 10mila vite umane andate perse dal 2009 a oggi).

Da una rassegna Paese per Paese il legame tra tutela (o rinuncia) della vita e politiche economiche, risulta che “Paesi come Grecia, Italia e Spagna che hanno tagliato protezioni sociali e legate alla salute, hanno visto risultati nettamente peggiori di nazioni come Germania, Islanda e Svezia, che hanno mantenuto le loro protezioni sociali e optato per lo stimolo invece dell'austerità“. “La Germania predica le virtù dell'austerità, ma per gli altri” rimproverano Stuckler e Basu, ma la loro analisi non si limita all’Eurozona. Le ricette ispirate a far fronte alla crisi a colpi di rigore sono nocive ovunque, stando alle loro ricostruzioni, anche fuori dall’Eurozona e dall’influenza tedesca. In Inghilterra vengono rilevate circa 10mila famiglie homeless senza fissa dimora. E negli Usa “oltre cinque milioni di persone non hanno più la copertura sanitaria perché hanno perso il loro lavoro” mentre le “ricette mediche per antidepressivi sono salite alle stelle e tre quarti di un milione di persone sono tornate a bere”.

Accusati di allarmismo, soprattutto in Inghilterra, i due studiosi hanno fissato paletti all’ambito entro cui l’austerity debba considerarsi dannosa. Precisando che ”quello che emerge è che un peggioramento della salute collettiva non è un’immediata conseguenza della crisi economica, ma spesso è il frutto di una precisa scelta politica da parte di chi ci governa”, hanno citato uno studio dell’Università di Madrid secondo il quale a Cuba la fine dell’influenza sovietica e del contributo economico da Mosca provocò sì un dimagrimento della popolazione, mediamente di cinque chili a testa, fino alla denutrizione, ma il dimagrimento della spesa pubblica e delle persone ridusse anche l’esposizione al diabete e a malattie cardiache e coronariche. “A volte, quindi, essere poveri fa bene alla salute” è la loro conclusione.

Posto questo limite, di contro i due affermano che un’oculata spesa pubblica non solo salva vite ma crea ricchezza. L’ex Urss e i Paesi asiatici vengono additati come esemplari in tal senso: “L'investimento di un dollaro in programmi di salute pubblica rende fino a tre dollari di crescita economica”. In Europa, invece, l’esempio da seguire, viene individuato fuori dall’Eurozona, nell’Islanda: “Ha evitato il disastro della sanità pubblica anche se nel 2008 ha vissuto la più grave crisi bancaria, relativamente alle dimensioni della sua economia”, ma poiché “nessuno ha perso accesso alle cure mediche anche se i prezzi delle medicine importate sono cresciuti”, oggi si riscontra che “non c'è stato un incremento significativo dei suicidi”.

La morale della ‘favola’ (si fa per dire), ovvero la conclusione della diagnosi, è espressa con una metafora di carattere medico: “Se l'austerità fosse misurata come una medicina in fase di studio, sarebbe stata fermata tanto tempo fa, considerati i suoi effetti collaterali mortali”. Di qui l’invito a “trattare la disoccupazione per quello che è, ossia una pandemia”, e l’indicazione di Finlandia e Svezia - dove l'aumento di depressione e suicidi durante la recessione è stato scongiurato da programmi governativi per sostenere il riassorbimento dei nuovi disoccupati – come prova del nove della validità dell’idea di “aumentare gli investimenti in salute pubblica in tempi difficili”. Infine, Stuckler e Basu terminano con parole chiare: “Sta all'Europa e all'America capire quale sia il giusto mix tra politiche monetarie e fiscali senza dimenticare però che l'austerità è fatale”.

Carlo Sala
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