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Secondo mandato di Obama, gli Usa puntano su auto e soldati green

La vittoria democratica dà continuità ai progetti della Difesa per passare a energie rinnovabili e può sbloccare i fondi per le vetture elettriche

di Carlo Sala 8 nov 2012 ore 11:15
L’elettore Usa è la prima energia rinnovabile su cui Barack Obama ha puntato con successo. Sembra una battuta facile, ma in effetti il primo spot della campagna che ha consentito al presidente americano di ottenere un secondo mandato per la Casa Bianca – spot lanciato il 19 gennaio – è stato dedicato proprio alle energie rinnovabili. Nel suo primo quadriennio d’altronde – la quota di fabbisogno energetico americano coperta grazie all’utilizzo di fonti non soggette ad esaurimento ubicate nel territorio Usa ha superato la quota coperta dalle centrali atomiche situate negli States: secondo i dati forniti dalla Energy Information Administration a settembre 2011, biomasse, sole, vento e geotermico soddisfano l’11,95% dei consumi di energia, mentre il nucleare si ferma al 10,62%. Il primo mandato presidenziale conseguito nel 2008 anche proclamando “Ci sono nuove energie da imbrigliare e nuovi lavori da creare” dovrebbe concludersi – scadenza ufficiale la fine del 2012 – con la realizzazione di impianti eolici per una potenza di 53 Gigawatt (GW) e di impianti fotovoltaici per 8 GW. Rispetto all’era Bush, quando la potenza totale sviluppata da fonti rinnovabili era pari a 26 GW, il primo quadriennio obamiamo ha fatto segnare un incremento del 130% dell’utilizzo di fonti rinnovabili e puliti.
 
A spingere per Obama e per le energie rinnovabili soffia anche l’uragano Cindy che a cavallo tra ottobre e novembre s’è abbattuto sulla East Coast. La sensibilità americana verso il tema del riscaldamento globale – che già a settembre i politologi riscontravano molto diffusa negli States e in grado di far pendere il piatto della bilancia verso Obama – ha trovato conferma in quell’evento climatico della necessità di ridurre ulteriormente il ricorso a combustibili fossili, che contribuiscono al climate change.

Già dal marzo 2011, del resto, l’amministrazione Obama ha lanciato il programma Blueprint for a Secure Energy al quale lo scorso luglio è stata fornito un “carburante” rappresentato da stanziamenti per 30 milioni di dollari, con l’obiettivo di ridurre di un terzo le importazioni di petrolio entro il 2025 e di rimpiazzare simili forniture con biocarburanti. Dipartimento dell’Energia, Dipartimento dell’Agricoltura e US Navy (la Marina militare) stanno già lavorando a impianti di produzione energetica del tipo drop in biofuels, coi quali rimpiazzare benzina, diesel e combustibile per aerei con prodotti che peraltro possono utilizzare la medesima rete di distribuzione (un vantaggio enorme in termini di economicità e rapidità di diffusione dei biocarburanti).
 
A contribuire alla vittoria di Obama e a beneficiarne è anche la Fiat, con le sue auto elettriche progettate per il mercato Usa. Prima ancora di vedersi consegnare dallo sfidante Mitt Romney la possibilità di esibire Sergio Marchionne come testimonial, Obama ha lanciato un piano per arrivare a un milione di auto elettriche sulle vie americane entro il 2015, che non è passato inosservato in Fiat-Chrysler. I risultati sono stati fin qui deludenti, è stato conseguito solo il 5% dell’obiettivo indicato (cioè 50mila vetture circolanti), ma la rielezione di Obama può consentire di dar seguito alla promessa di elevare da 7.500 a 10.000 dollari gli incentivi all’acquisto di questo tipo di veicoli. Per sostenere l’iniziativa sono disponibili fondi per 16 miliardi di dollari, e benché i democratici di Obama siano in minoranza in uno dei due rami del Congresso la sconfitta di Romney garantisce che quel programma non sarà azzerato (come voleva invece Romney).

Ancor più importante, la continuità di governo agevola l’implementazione degli interventi per aumentare l’utilizzo di energie rinnovabili da parte delle forze militari: i vari apparati del dipartimento della Difesa sono il più grande consumatore di energia al mondo, il loro fabbisogno è stimato superiore a quello di 100 Stati, e a fronte di questi dati ancora a settembre è stata ribadita l’intenzione di aumentare gli investimenti in rinnovabili fino a portarli a 1,8 miliardi nel 2025 (per il primo anno del secondo mandato di Obama, il 2013, si comincia con 183 milioni).
 
Peso del debito, “fiscal cliff” e secondo mandato sono tutti alleati di politiche verdi durante il secondo mandato obamiano. La prima questione che la nuova amministrazione dovrà risolvere è infatti il problema di un debito in espansione che rischia, se non viene contenuto, di innescare in automatico rincari fiscali (il fiscal cliff, appunto) che colpirebbero il 90% delle famiglie. Ridurre l’utilizzo di combustibili fossili e le importazioni di petrolio è quindi un imperativo contabile, prima ancora che una scelta in linea col sentiment popolare. Un tale sentiment peraltro aumenta ancor più la libertà di azione che tutti i presidenti Usa hanno mostrato al secondo mandato, quando le scelte non sono più legate al timore di perdere un ulteriore mandato precluso dalla Costituzione Usa. Nel secondo mandato Bill Clinton abbandonò la cautela mostrata nel primo rispetto alle possibilità aperte dalla tecnologia delle comunicazioni. Certo, il ciclo economico allora era agli antipodi di quello odierno, ma Obama e Clinton provengono dalla stessa casa madre – il Partito Democratico Usa – e oltreoceano l’austerity anti-crisi è molto meno draconiana che in Europa.
 
Carlo Sala
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