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Investire in impianti di cogenerazione

Producono energia elettrica ed energia termica. Incentivati dallo Stato, possono generare ritorni finanziari interessanti. Ne abbiamo parlato con Luciano Costanzo di Siamo Energia

di Marco Delugan 11 gen 2013 ore 11:55
Energia elettrica e calore dallo stesso processo. La garanzia di un compratore che per vent’anni acquista tutta l’elettricità prodotta, e di soci clienti che acquistano il calore. Il tutto per rendimenti fino al venti per cento del capitale investito. Quota minima di partecipazione cinquantamila euro. Per imprese e privati cittadini. Di tutto questo abbiamo parlato con Luciano Costanzo di Siamo Energia, società operante nel campo della cogenerazione, che di impianti di questo tipo ne ha già fatti partire quattro.

Cosa vuol dire cogenerazione?

I sistemi di cogenerazione permettono di produrre, dallo stesso processo, energia elettrica ed energia termica, quest’ultima poi utilizzabile per riscaldamento e processi produttivi. Per alimentare i processi di cogenerazione possono essere utilizzati oli prodotti dalla trasformazione di scarti della lavorazione animale, con biomasse di origine agricola o da rifiuti come l’olio esausto. La cogenerazione, quindi, oltre a produrre energia da fonti alternative al petrolio e al carbone, permette anche l’utilizzo virtuoso di scarti e rifiuti che altrimenti potrebbero danneggiare l’ambiente.

Può essere interessante ad un punto di vista economico?

Grazie agli incentivi statali, è adesso possibile ottenere dall’investimento in un impianto di cogenerazione ritorni finanziari interessanti, anche maggiori di quelli ottenibili dagli impianti di energia fotovoltaica. L’energia elettrica prodotta viene immessa nella rete elettrica nazionale. Per impianti di piccola dimensione, inferiori a un megawatt di potenza elettrica, il GSE– la società del ministero dell’economia e delle finanze per la gestione dei servizi elettrici –  eroga una tariffa detta omnicomprensiva che comprende, appunto, sia la valorizzazione dell’elettricità in quanto tale, sia l’incentivo statale alla produzione da fonti alternative. In casi come questo, tutta l’energia elettrica prodotta deve essere immessa in rete e non può essere consumata sul posto.

Il GSE garantisce l’erogazione della tariffa incentivante  per molti anni: 15 per gli impianti entrati in funzione entro la fine del 2012; 20 per gli impianti che entreranno in funzione nel 2013. In un prossimo futuro, chi vorrà immettere energia elettrica nella rete nazionale dovrà risultare iscritto ad un registro e superare valutazioni di merito, ma nella fase attuale chiunque si connetta alla rete e immetta energia riceve la tariffa GSE. E sarà così anche nel 2013 per gli impianti di piccola dimensione (meno di 1 MW di potenza elettrica).

Com’è nato il sistema dei soci/clienti?

Quando presentavamo a una impresa l’ipotesi di costruire un impianto di cogenerazione la risposta che ricevevamo era “bellissimo, efficiente, ma non è il momento”. E questo per via della crisi e della prudenza che ne consegue. Così abbiamo dovuto cercare un altro modo di proporre questo tipo di attività. Il meccanismo che ne è uscito è il seguente: costruiamo noi l’impianto cercando il posto dove c’è bisogno di energia termica e formiamo una società dove possano partecipare più soci. E alcuni di questi soci diventano anche clienti.

Quanto può rendere un impianto di cogenerazione?

Per costruire un impianto di cogenerazione di 1 MW di potenza elettrica si investe circa un milione di euro. Per entrare nella società che gestisce l’impianto la quota minima è di 50mila euro. I soci possono essere sia aziende che privati. Il rendimento che può generare la gestione dell’impianto può arrivare al 20% fin dal primo anno di attività. La ripartizione degli utili, piuttosto che il loro reinvestimento, viene deciso dal consiglio di amministrazione. Le prime società hanno deciso che con i primi utili realizzeranno un’altra centrale.

Quali sono i rischi di questo investimento?

I rischi possono riguardare eventuali difetti al motore. E questo si traduce in minori rendimenti. Ma in un orizzonte temporale di 15/20 anni il costo di evenienze del genere è di solito trascurabile. Anche perché la manutenzione è frequentissima, fatta ogni quindici giorni, e quindi il rischio di malfunzionamenti è basso. Il vero rischio di questo tipo di attività riguarda l’approvvigionamento di carburante. Nelle nostre centrali utilizziamo olio vegetale – da colza o jatropha - e cioè una commodity il cui prezzo ha delle oscillazioni. In futuro utilizzeremo nuovi impianti a olio proveniente da biomasse animali, ma nelle centrali attuali usiamo olio vegetale.

E come lo affrontate?

Cerchiamo di ridurre questo rischio legato alla fluttuazione del prezzo dell’olio stabilizzando per quanto possibile il prezzo di acquisto. Abbiamo un accordo con un mulino: noi acquistiamo il seme, e al mulino lo spremono; il mulino si tiene il panetto che deriva dal seme e lo vende; noi acquistiamo l’olio a un prezzo prefissato e che rimarrà stabile per i prossimi 3/5 anni. Il prezzo del seme può variare, ma varia nella stessa direzione di quello del panetto che il mulino venderà sul mercato, e in questo modo si ammortizzano le variazioni del prezzo del seme e noi possiamo avere l’olio a prezzo costante.

Quanti impianti avete costruito, e quanti ne avete in programma per il 2013?

Fino ad oggi abbiamo lanciato le prime quattro società, due impianti impianti di Prato, uno a Fiorenzuola (PC)  e l’altro a Thiene (VI)  entro la fine del 2012. E per il prossimo anno ne svilupperemo minimo  altri 5. Questo scritto è redatto a solo scopo informativo, può essere modificato in qualsiasi momento e NON può essere considerato sollecitazione al pubblico risparmio. Il sito web non garantisce la correttezza e non si assume la responsabilità in merito all’uso delle informazioni ivi riportate.
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