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I crimini dell’economia

Come le teorie economiche giustificano la sofferenza sociale. Nel suo ultimo libro, Vincenzo Ruggiero applica alle teorie economiche classe l’approccio criminologico

di Massimo De Muro 8 nov 2013 ore 11:20
Mentre gli economisti hanno spesso studiato il crimine per capirne la logica economica, Vincenzo Ruggiero prova a percorrere la strada contraria. Nel suo ultimo libro, dal titolo “I crimini dell’economia”, esamina infatti le principali teorie economiche secondo un approccio criminologico, scoprendo come in ognuna di esse si trovino le giustificazioni della sofferenza sociale che l’attività economica produce.

Abbiamo posto alcune domande al professor Ruggiero per aiutare noi e i lettori di AbcRisparmio a comprendere meglio quello che troveremo nel suo scritto.

La sofferenza per mancanza di denaro. Sono in molti a pensare che sia l'unica benzina a far muovere il progresso

Non mi sembra una questione individuale, nel senso che non biasimerei le persone che soffrono, o dichiarano di soffrire, per mancanza di danaro. Piuttosto, direi che l’idea di crescita, sviluppo, e particolarmente la nozione che conosciamo come Pil (Prodotto interno lordo) è la principale responsabile di quanto si verifica oggi. E’ il Pil e chi continua a richiamarlo ossessivamente in causa a ritenere che crescita economica e progresso siano la stessa cosa. Al contrario, direi, la crescita economica produce spesso disastri ambientali e umani, distruzione e ingiustizia sociale.

Il Pil racchiude un’idea di progresso come accumulazione infinita di soldi, un’idea di sviluppo senza limiti e di creazione illimitata di bisogni artificiali che possono portare al collasso dell’intero pianeta. Il Pil è il numero più potente che esista al mondo, e andrebbe attentamente decostruito. Per decenni il mantra del Pil ha dominato il dibattito pubblico e i diversi paesi sono stati classificati in tabelle meritocratiche in base al valore numerico della loro crescita. Si pensi che anni fa, il Sud Africa veniva collocato alla sommità di simili tabelle, in quanto ‘cresceva’, ma la maggioranza della sua popolazione era esclusa dai benefici dello sviluppo attraverso il sistema dell’apartheid. Analogamente, si dice che oggi India e Cina ‘crescono’ vertiginosamente, mentre la povertà in entrambi i paesi si diffonde come non mai.

Oggi, con l’Unione Europea che cerca stabilità e crescita, il valore del Pil determina l’austerità e i tagli alla spesa pubblica in settori come la salute e la formazione, e ne risulta una equazione macabra: minore è il Pil, minori saranno gli investimenti sociali. Pensiamo che negli Stati Uniti, la ‘crescita’ è stata connessa persino al ‘terrorismo’, per cui si dice che la maniera più efficace per sconfiggere i nemici della democrazia è spendere, comprare qualsiasi cosa, anche cose di cui non si ha bisogno, purché si aiuti l’economia attraverso una forma di consumismo patriottico.

Perché ci sono tante ricette per gestire l'economia di un paese, e nessuna per gestire il benessere?

E’ vero: ci sono tante ricette per gestire l’economia, ma molte di queste lasciano in disparte un aspetto fondamentale, vale a dire gli effetti che le politiche economiche possono produrre sulla società in generale. Ogni ricetta, come lei le definisce, tralascia qualsiasi considerazione relativa alla diseguaglianza che può provocare. O meglio, la diseguaglianza viene interpretata come un prodotto ‘salutare’ dello sviluppo e del benessere collettivo, in quanto spingerebbe chi è svantaggiato a imitare chi invece è privilegiato. Diseguaglianza, insomma, significa offrire a coloro che sono alla rovina dei modelli di successo economico e sociale ai quali ispirarsi, senza offrire loro la possibilità di raggiungere quei modelli. La disuguaglianza viene anche giustificata quando, ad esempio, mentre crea ricchezza esorbitante per pochi, permette ad alcuni di uscire dall’area della povertà. Dunque, se un dirigente guadagna oggi migliaia di volte di più di un semplice impiegato, la cosa non dovrebbe preoccuparci, in quanto contemporaneamente alcune persone forse possono raggiungere un livello di vita di sopravvivenza di cui prima non potevano godere. I ricchi vanno imitati, insomma, anche se l’imitazione può convincere gli esclusi che l’unica maniera di accumulare ricchezza consiste nel sottrarla agli altri.

La rincorsa forsennata alla proprietà privata deve essere sempre contrapposta al benessere minimo dei cittadini?

Parlare di proprietà privata oggi mi sembra un modo beffardo di porre le questioni economiche. Tutto è ormai privato: l’acqua, le risorse fondamentali, il mare, l’aria, la vita stessa. Il processo iniziato dalla rivoluzione industriale, che privatizzava le terre comuni, non si è mai arrestato: scuole, università, energia, salute, assistenza, persino le guerre sono ormai un fatto privato. I combattenti in paesi da colpire e irreggimentare sono principalmente mercenari, non soldati che rappresentato uno stato-nazione. Le strade di Londra verranno presto privatizzate: anziché Oxford Street potremmo avere tra poco Coca Cola Street, come abbiamo già avuto la ‘Coca Cola Cup’, anziché la ‘Football AssociationCup’; le grandi compagnie si stanno aggiudicando il diritto a denominare le strade e le piazze, per dare loro dei nomi più congrui allo sviluppo e alla crescita, in maniera che anche l’assetto spaziale della città, la sua identità geografica, possano avere un riscontro immediato nello sviluppo e nella crescita che costituiscono il loro unico destino.


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I CRIMINI DELL’ECONOMIA
Professor Vincenzo Ruggiero
Middlesex University
Hendon Campus


di Massimo De Muro
www.iltrovalibri.it
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