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Vivere di rendita: alla ricerca del tempo perduto

Attenzione, apprendimento, e una pazienza di lungo periodo per riprendersi un tempo più umano, e farlo durare

di Marco Delugan 29 set 2009 ore 11:26
Ci piacerebbe trovare delle storie: racconti di chi lo ha fatto, di chi è già arrivato a vivere di rendita, del tutto o in parte. E di chi ci sta provando. Da quanto abbiamo capito dagli articoli precedenti non è come schiacciare un interruttore. Non basta un clic, non c’è un passaggio netto. E’ piuttosto un percorso, un’avventura che contiene tutti gli ingredienti che di un’avventura fanno parte: la vita consueta che comincia a fare acqua; un’idea che porta a guardare altrove; qualcuno che ti aiuta; prove da superare. 

Se ne state vivendo una, e avete voglia di raccontarla, scriveteci: marcodelugan@soldionline.it.

Come avrete capito di storie così non ne abbiamo, ma non volevamo restare del tutto a secco. Così ne abbiamo parlato con chi ne ha viste parecchie: Cesare Valentini, autore del libro “Vivere di rendita”, e ispiratore di questa rubrica.

Non è proprio un racconto, quello che ne è uscito, piuttosto una spiegazione di alcuni dei tratti comuni alle diverse storie. 

La situazione di partenza
Persone diversissime, situazioni di partenza differenti. Per averne una prova andate a leggere i contributi che alcuni hanno scritto al blog di Cesare Valentini:

http://viveredirendita.blogspot.com/2008/10/e-possibile-smettere-prima-della.html

Si va dal giovane che si è trasferito in Cina per due anni semi-sabbatici, come lui stesso li definisce, al lavoratore dipendente che si è trasferito in Toscana, fa l’insegnate di tennis, ha più tempo libero e vive meglio la  dimensione familiare, di quanto facesse prima.

Non sembrano storie miliardarie. E questo aiuta a dare l’idea che non stiamo parlando di un altro mondo, di racconti da favola, di avventure per pochissimi. Downshifting è forse il termine più adatto a descriverle. Ridurre: soprattutto l’impegno lavorativo, ma anche i consumi per godere un po’ di più della vita. “Gozar”, come dicono in sudamerica, e come dice Luca nel blog di Valentini: gioire della vita e della sua sensuale bellezza. Ma non è obbligatorio essere poeti per tentarci.

Non per pochissimi, ma nemmeno per tutti. «Direi che il segmento più interessato a cambiare è quello di chi ha già accumulato qualche cosa, ha già vissuto sia i vantaggi sia gli stress della crescita economica e dell’impegno lavorativo intenso. Persone della generazione del baby boom degli anni ’60», dice Cesare Valentini.

Ma quanto bisogna avere accumulato per poterselo permettere questo downshfting? Non c’è una cifra precisa, ma una casa di proprietà, qualche centinaia di migliaia di euro da parte, e la prospettiva di una pensione sono elementi necessari del progetto. E magari un lavoro part time per non vedere solo uscite prima della pensione. Insomma, un disegno complesso, dove la debolezza su un punto deve essere compensata dalla forza su un altro. Ma con sole debolezze non si costruisce niente, ovvio.

Il richiamo all’avventura
«Spesso, purtroppo, la motivazione è negativa: uscire da un incubo, da uno stress», dice Valentini. Ma questo genere di motivazioni non basta: «Perché se non c’è un piano, ma solo un’idea di fuga, è molto più difficile costruire un progetto. Mi sembra che il viaggio riesca meglio quando c’è un richiamo, qualche cosa di interno: il richiamo alla propria natura, un desiderio di tempo libero, di socialità. Spesso sono motivazioni sociali, familiari, un figlio giovane, una riconsiderazione di elementi di vita, il desiderio di un luogo migliore dove abitare e probabilmente tempi lunghi per dare un senso al proprio benessere che in questi anni è riuscito a costruire.»

Aiuti e aiutanti
Per affrontare un viaggio del genere ci vogliono alcune condizioni oggettive, non solo materiali, ma anche sociali. Non essere soli nella decisione, come prima cosa. Un progetto di questo tipo è meglio costruirlo insieme al partner, ai figli, alla famiglia. E poi serve una razionalizzazione del progetto, e un aiuto in questo senso può venire da una buona consulenza di pianificazione finanziaria. 

Dice ancora Valentini: «Il problema, mi sento di dire, è che in una consulenza “classica” questo è difficile che avvenga, perché sono più indirizzate a gestire il patrimonio che a creare condizioni di indipendenza. Il mio progetto è quello di utilizzare gli strumenti tecnici e professionali non più a scopo di accumulazione o di gestione e ampliamento del credito al consumo, ad esempio, ma come protezione del patrimonio e controllo del conto economico. Io propongo di razionalizzare il progetto di vivere diversamente attraverso l’analisi dei propri dati oggettivi.»

Gli ostacoli
Primo: il panico quando i conti non tornano. «Avviene spesso, nella fase di adattamento – spiega Valentini - quando si sta andando verso qualche cosa di nuovo, magari dopo aver fatto scelte lavorative importanti e si vede che le spese sono maggiori del previsto o che le entrate non vanno come si desiderava.» Quest’anno, in particolare, la crisi ha portato via il 20% della ricchezza, e per chi tenta di vivere almeno in parte della rendita del proprio patrimonio, questo vuol dire «razionalizzare, fare di nuovo i conti, qualche volta anche prendere provvedimenti, rivedere il portafoglio su condizioni di minore rischiosità ma anche un accantonamento minore rispetto a quello che si pensava di poter trasferire ai discendenti, una revisione del conto economico, una revisione persino dell’impegno lavorativo che uno aveva definito.»

Poi ci sono i possibili dissidi con le persone che stanno più vicino, quando la scelta non è stata sufficientemente condivisa. Pensate a quello che può accadere a marito e moglie se uno ha smesso di lavorare e l’altro lavora 10 ore al giorno, ad esempio. E poi ci sono elementi psicologici: «Se uno non ha un progetto può essere preso dalla noia, come capita a chi va in pensione forzatamente.» 

Terzo, ancora più sottile e insidioso: una specie di senso di colpa. «Quando ho cominciato a lavorare in modo indipendente, e non avevo vincoli di orario, mi veniva difficile scendere al mare prima delle 5 del pomeriggio, fuori orario. Ma sono cose che si possono superare…»

Vissero tutti felici e contenti?
«Il calo continuo di patrimonio è fonte di ansia. Ma se uno riesce a raggiungere condizioni di stabilità, rinuncia ad accumulare, ha un buon equilibrio generale e ha tolto almeno parte degli elementi principali di preoccupazione e dissidio, credo che il vantaggio finale sia netto. Io ho sicuramente ridotto le entrate e tagliato del 20% il mio budget di spesa. Non ho il tasso di accumulazione che avevo prima, però ho un equilibrio di conto, e fatto questo ho dimezzato il tempo di lavoro e faccio le cose che mi piacciono. Sono contento. Credo che questa sia la direzione di marcia. Non ci sono prove decisive, se non la scelta di avviarsi lungo questa strada, è piuttosto un esercizio di lungo periodo.»

Un vivere di rendita che non è strafare, bearsi senza misura di piaceri e pigrizia. Sembra piuttosto un esercizio di filosofia pratica, e di pianificazione finanziaria. Serve una buona dotazione iniziale di capitali, ma serve anche un’attenzione, un apprendimento, una pazienza di lungo periodo per riprendersi un tempo più umano, e farlo durare.

Marco Delugan
marcodelugan@soldionline.it



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