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Adesso basta. Lasciare il lavoro e cambiare vita

E’ il titolo del primo libro di Simone Perotti che "adesso basta" lo ha detto davvero. Lo abbiamo intervistato per voi

di Andrea Di Turi 16 dic 2010 ore 10:51
Fra chi “mastica” di downshifting o comunque se ne è interessato almeno qualche volta, il suo nome è ormai famoso. Anzi, per certi versi si può dire che in Italia si sia iniziato a parlare diffusamente di downshifting soprattutto dopo l’uscita del libro che raccontata la sua scelta di vita, un libro che ha trovato e continua a trovare posto nelle librerie di molti, anzi moltissimi lettori: Adesso basta. Lasciare il lavoro e cambiare vita.

Stiamo parlando di Simone Perotti, ex-manager di successo che a un certo punto della sua carriera, e soprattutto della sua vita, ha veramente detto “basta”, come racconta con trasparenza e grande freschezza anche sulle pagine del suo sito. Ha mollato quella che di solito si considera un’ottima posizione, persino invidiabile, e un ottimo stipendio (in anni in cui averne uno è giù un bel risultato…) e ha dato una svolta radicale alla propria vita. Ritagliandosene una nuova, stavolta davvero su misura, al mare in Liguria.

Ora lavora molto meno, guadagna molto meno, ma ha molto tempo in più per fare quello che nella vita gli pare abbia più senso, più valore (che sia la ricetta della felicità?). Per esempio scrive (a gennaio 2011 uscirà il suo nuovo libro, Avanti tutta), naviga, fa l’istruttore di vela, sua grande passione, vive in una casa di pietra che ha ristrutturato da sé, i mobili li ha fatti con la legna che raccoglie e taglia con le proprie mani usandola anche per il riscaldamento. Ogni tanto costruisce sculture, lava le barche, dà un aiuto a quelli del porto se glielo chiedono e se gli va.

Che altro dire? Ah sì, la cosa più importante: sembra molto, molto, molto contento (di più!) della sua scelta e della sua vita e sembra che nulla ma proprio nulla lo convincerebbe a tornare indietro. E sentendolo parlare è davvero difficile dargli torto.

Prima e dopo la sua scelta di cambiare vita: cosa non era più sopportabile, o non aveva più senso, prima, e a che cosa invece non rinuncerebbe più, ora?
In entrambi i casi, la Libertà. Quella con la “L” maiuscola, quella del tempo da poter organizzare come voglio, del tempo della mia vita che se ne va solo facendo quel che considero utile per il mio benessere e per quello delle persone e delle cause a cui tengo. La libertà del perdere tempo, anche, o dell'impiegarlo con ritmi e modalità che considero più umane. La libertà del non avere più gerarchie sopra di me, a cui dover attendere necessariamente, senza nessuno che possa dirmi cosa devo fare e quando, salvo le persone a cui lo consento. La libertà di vivere in modo più avventuroso, anche più duro e senza sconti, se vogliamo, ma certamente più autentico. La libertà. Quella vera. Che a quarant'anni è vera vera. E' il presente. Per il resto facevo un lavoro bellissimo e pieno di cose, a cui devo molto, che mi ha consentito di conoscere e capire persone e cose. Un lavoro che, tuttavia, era una delle stampelle di un sistema basato sul consumo. Dunque un lavoro bello ma le cui finalità e i cui presupporti considero sbagliati.

Crede che la mancanza di un'attività lavorativa manuale, in un mondo che sembra voler riconoscere uno status sociale elevato ormai solo ad attività, diciamo così, intellettuali, sia uno dei motivi per cui tante persone sentono di non trovare più il senso in quello che fanno?
Io credo che il nostro obiettivo, certamente il mio, debba essere l'equilibrio. Non c'è dubbio che oggi siamo tutti immersi in una realtà terziaria, in cui applichiamo solo (poche) risorse intellettuali (diciamo così...). L'uomo invece ha cervello e braccia, e se vuole essere in equilibrio deve usare entrambe le facoltà, quella intellettuale (vera) e quella fisica (vera). Ma non andando in palestra e stando tutto il giorno al computer. Quella è finta manualità e finto intelletto. La mia scelta è stata proprio quella di usare tutto il mio intelletto nella direzione per me coerente (studiare e scrivere) e tutte le mie possibilità fisiche nella direzione corretta per me (navigare, fare il boscaiolo, il muratore, etc). In questo modo cerco il mio equilibrio.

Perché, a suo avviso, molti che sentono le stesse cose che lei ha sentito non riescono a fare la sua scelta: paura? Abitudine a una vita "comoda" anche se stressante e alla fine inappagante? Scetticismo sul fatto che ne valga la pena e si vada a star meglio? Timore di essere "diversi" in un mondo abitato da individui sempre più omologati?
Tutte queste cose insieme. In Avanti Tutta, il seguito di Adesso Basta che uscirà il 20 gennaio, tento una classificazione in 14 tipologie di coloro che vorrebbero ma... o di quelli che hanno già.... È molto interessante. Non posso anticipare nulla ma è molto istruttivo. Di certo le persone oggi hanno molti motivi di disagio e paura pensando al cambiamento. Da un lato vorrebbero ma dall'altro temono di uscire dalle regole del denaro, che se strozzano pure garantiscono. In generale penso che siamo tutti molto deboli, molto mosci, senza energia, senza coraggio. Ci ha ridotti così questo capitalismo cialtrone e imperfetto, simbolico e schiavista. E noi ci siamo fatti indebolire, prostrare. La colpa va spartita a metà. Oggi però occorre farsi forza e rialzarsi. In ginocchio si vive male. Senza dignità.

Come vive il ruolo di "guru" del downshifting che i lettori le hanno tributato, acquistando i suoi libri e condividendo le sue opinioni o quanto meno la sua scelta?

Un guru dice “io ho la verità” e assicura che seguendolo, facendo in modo identico a lui, si avrà un premio importante. Io sono anarchico di formazione filosofica e intellettuale, dunque non voglio che nessuno mi segua. In più io dico l'opposto di un guru: "non fate come me, ma ognuno come ritiene e come può". Io, del resto sto tentando, ci sto provando, con forza, con determinazione, ma certo non ho acquisito nulla, solo la consapevolezza di tentare. Dunque non dò alcuna garanzia, solo una testimonianza. Un testimone non può essere un guru.

Il termine "downshifting" rappresenta bene quello che lei ha fatto o la realtà della sua esperienza va molto oltre e si tratta di un recupero di senso della vita più che di un recupero di tempo ed energie?
Il termine è generico e vuol dire rallentare, cambiare, con mille sfumature possibili. Io ho fatto una scelta radicale, senza troppe mediazioni. Altri fanno scelte diverse. L'unica cosa che ci accomuna è quella che lei dice, cioè lo sforzo, generato da un desiderio, di cambiare l'attuale schema duro, ansiogeno, inconsistente, che non genera benessere, in un altro più sensato, più adatto, più capace di dare piacere e gioia ora, prima che sia tardi. Le parole devono essere conseguenza delle cose, non il contrario. Tra una parola e un'azione, io sceglierò sempre un'azione. Dunque quel che contano sono i comportamenti, poi possiamo chiamare tutto come vogliamo.

Trova che la decrescita teorizzata da Serge Latouche abbia qualcosa in comune con il downshifting? O, addirittura, che siano la stessa cosa?
La differenza tra me e altri è che io ho fatto tutto quello di cui parlo. In questo ci metto un pizzico di orgoglio. A me piace la pratica, della teoria. Non il contrario. Mi piace la roba che si fa, non solo quella che si dice, che pure è importante. Certamente da Latouche a Pallante a Corona (l’alpinista, scultore e scrittore Mauro Corona, ndr) diciamo cose molto in linea, molto avvicinabili, sintoniche, pure con qualche (anche profonda) differenza.

Il valore del tempo: è la risorsa scarsa per eccellenza? Perché fin da piccoli, ormai, la società ci inculca che occorre occupare il tempo in ogni momento con qualche attività specifica e che solo così gli si dà valore? Come mai chi si prende del tempo per pensare a sé stesso è visto come un ozioso, un fannullone, e non come un saggio o comunque una persona che vuol fare un lavoro su di sé?
Il Sistema egemone è quello economico-finanziario, che supera per peso e incidenza quello politico-culturale. La visione economica del tempo è riferita alla produzione e al consumo, non all'esistenza e al benessere. Basta girarsi un istante e si vede l'altra scena, quella che ogni giorno media, aziende, Sistema sperano che nessuno veda. È come Matrix, il film: una cosa è la realtà vera, un'altra la rappresentazione. Ci aveva già pensato su a lungo Platone, se ricorda. Non è diverso. Il tempo va e, come ammoniva Seneca, noi viviamo convinti di poter vivere per sempre. Pare che l'espressione più frequente sul volto dei moribondi sia lo stupore. Ma pensa, dopo una vita trascorsa con un'unica certezza: che moriremo. Beh mi pare che ci sia materia a sufficienza per voltarsi e fare altro. In un altro modo. Con altri tempi.

Ci sono piccole cose, semplici atti quotidiani che le confermano di aver fatto la scelta giusta? Momenti o occasioni durante il giorno in cui quello che fa la porta a pensare di essere sulla strada giusta…
Mi spiace, per rispondere a questa domanda rischio di essere enfatico e poco credibile. Però è la verità e non posso esimermi: sempre. Da quando mi sveglio nel mio fieniletto gelido e corro a spaccare la legna a quando mi addormento tutto con le ossa rotte (e la mente aggiustata) per le tante cose fatte (roba faticosa...) e pensate o scritte durante il giorno. Per non parlare di quando navigo o lavoro a bordo... Indescrivibile. Scusi, davvero, mi manca l'italiano per descrivere tutto ciò (cosa che per uno scrittore è o grave o emblematica. Spero la seconda).

(Per conoscere gli appuntamenti in cui sarà possibile incontrare Simone Perotti, magari per la presentazione del suo nuovo libro, tenere d’occhio l’agenda del suo sito o la sua pagina su Facebook)

Andrea Di Turi

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