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Pensione integrativa? Servono fondi più aggressivi

Sempre più difficile farsi una pensione integrativa. Come fare, dunque? Cominciare il prima possibile e preferire fondi di investimento aggressivi

di Marco Delugan 22 lug 2013 ore 12:20
Secondo un’indagine di Natixis Asset Management l’85% degli investitori istituzionali italiani ritiene che la popolazione del nostro paese non abbia le risorse finanziarie adeguate a mantenere un buon livello di vita una volta in pensione. Che fare, quindi, per correggere questa tendenza?

Ne abbiamo parlato con Antonio Bottillo, amministratore per l’Italia di Natixis Global Asset Management.

Dottor Bottillo, quali sono le evidenze principali del vostro studio?
L’indagine denuncia la difficoltà che sempre più persone hanno nel far fronte agli impegni futuri di previdenza, ma io aggiungerei che anche altri impegni sono a rischio, come quello di garantire ai propri figli una educazione qualitativamente buona. E come sempre accade in questi contesti è chiaro che le fasce a maggior rischio sono quelle economicamente più deboli, ma l’indagine segnala che anche la classe media non sta benissimo.

Uno scenario annunciato, potremmo dire
Della necessità di integrare la pensione si parla da tempo, ma quello che c’è di diverso, adesso, anche alla luce di questi dati, è l’impressione che quello che ci si aspettava stia cominciando a diventare sempre più reale. Che siamo sempre più nella concretezza di un welfare che non ha più la forza di un tempo e di una crisi che toglie prospettive di reddito. E anche chi ne ha, di reddito, fatica più di un tempo a garantirsi una integrazione utile a mantenere un reddito adeguato per l’età della pensione a causa del contesto finanziario in cui viviamo: ciò che era considerato fino a ieri sicuro, privo di rischio, che concedeva qualche rendimento, oggi produce spesso rendimenti reali negativi. Le stesse obbligazioni governative – una volta eravamo il popolo dei Bot – danno rendimenti bassissimi, se poi li si corregge per l’inflazione, nella migliore delle ipotesi ci si ritrova con rendimenti pari a zero. E’ quindi la fonte stessa del rendimento di cui c’è bisogno per integrare la pensione, a mancare.

Cosa è possibile fare in una situazione come questa?
Questa indagine mostra anche l’importanza di un momento storico che io ritengo unico. Questi dati ci pongono di fronte alla possibilità di un cambiamento epocale, quasi ontologico:  da un lato c’è il riconoscimento del problema e della sua gravità, e solo partendo da questa consapevolezza si può andare verso una soluzione; dall’altro la possibilità di un cambiamento di strategia dei fondi pensione che potrebbe farsi più aggressiva e coinvolgere mercati più ampi degli attuali, allargare l’universo di investimento in un quadro giuridico di riferimento che faciliterà questo tipo di approccio.

Ma la soluzione del problema passa però anche attraverso la modifica dei comportamenti previdenziali degli italiani. Noi non siamo abituati ad effettuare versamenti previdenziali. Aspettiamo, se li facciamo, quando abbiamo il “posto fisso”, ma sarebbe bene iniziare a farli molto prima: dai 15 anni, ad esempio, si potrebbe cominciare a destinare qualche cosa alla pensione integrativa. Per chi potrà permetterselo, ovviamente. (STRUMENTI: Quanto risparmiare per la pensione integrativa?)

Quali sono gli strumenti migliori per integrare la pensione?
Tra gli strumenti da utilizzare, il fondo pensione è importante per garantirsi una buona integrazione, ma va considerato uno strumento di lungo periodo, mentre si tende ad osservare l’andamento del fondo quasi giorno per giorno, sia da parte dei clienti che dei gestori, e questo non va bene proprio perché il fondo va tenuto per molti anni perché possa dare buoni rendimenti.

Marco Delugan

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