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La previdenza complementare ha fatto flop. Almeno per ora

17 milioni di lavoratori potenzialmente interessati ancora non hanno aderito ad alcuna forma di previdenza complementare. Ma forse basterebbe solo informarli meglio

di Jonathan Figoli 16 feb 2010 ore 11:06
Articolo a cura di MyAdvice.it

Il numero di nuove adesioni alla previdenza complementare si è significativamente incrementato solamente nel primo semestre del 2007, in occasione del “semestre del silenzio assenso” che ha interessato tutti i lavoratori con rapporto di lavoro in essere alla data del 31/12/2006. Da quel periodo in poi la previdenza sembra, ahimè, caduta nel dimenticatoio: anche se il montante dei contributi è in continua crescita, si è assistito a un decremento sostanziale delle nuove adesioni nel corso del 2008 e a una lenta crescita nel 2009.

adesioni

A oggi rispetto ai circa 22 milioni di lavoratori italiani potenzialmente interessati all’adesione alle forme di previdenza complementare, solo 5 milioni hanno effettivamente sottoscritto un fondo pensione o un pip: mancano ancora all’appello 17 milioni di persone, una mancanza enorme rispetto a quanto dovrebbe essere già oggi l’importanza acquisita dalla previdenza complementare anche pensando a quanta strada sia già stata fatta negli altri stati europei e in tutti i Paesi più evoluti.

Ma perché in Italia siamo ancora così indietro in questo processo? Sicuramente non si può riportare tutto a un unico motivo. Molteplici sono le motivazioni che possono andare a spiegare questo scarso interessamento. Si tratta sicuramente di ragioni culturali e normative; ma, senza alcun dubbio un peso fondamentale è assunto dalla inadeguata informazione che è stata data ai lavoratori italiani (anche nel primo semestre del 2007).

contribuzioni

Quali sono, quindi, le informazioni che sarebbe importante far conoscere per far comprendere questa importante esigenza al cliente? Ci vengono in aiuto alcune indagini di mercato che sono state condotte presso differenti categorie di lavoratori che hanno dimostrato la scarsa conoscenza esistente principalmente sui seguenti aspetti.

1)  L’inadeguatezza della futura pensione pubblica. La maggior parte dei lavoratori non ha ancora preso coscienza che, per effetto della Riforma Dini, la pensione pubblica, già da un prossimo futuro (sono oramai pochi i lavoratori che andranno in pensione con il sistema retributivo) sarà al massimo il 50-55% (ma solo per i lavoratori dipendenti) dell’ultimo stipendio ricevuto, contro l’attuale 80%; di conseguenza, molti lavoratori si ritroveranno ad avere potere d’acquisto, una volta entrati nella fase pensionistica, notevolmente inferiore e, quindi, saranno costretti a diminuire il proprio tenore di vita che avevano durante il periodo lavorativo.

2) L’esistenza di rilevanti vantaggi fiscali. E’ ancora poco noto il meccanismo del triplice beneficio fiscale che si ottiene aderendo a un fondo pensione. Sia in fase di contribuzione con la deducibilità del contributo, sia in fase gestionale (con l’aliquota di tassazione agevolata) che, soprattutto, al momento dell’erogazione della prestazione anche se anticipata!  Questi vantaggi valgono anche per il TFR che, se destinato a un fondo pensione, beneficia di un notevole risparmio in termini di tassazione finale.

3) Il vantaggio, per il lavoratore, di aderire a forme complementari di secondo pilastro. Quando il lavoratore presenta una “caratteristica professionale comune” con altri lavoratori (o perché ha sottoscritto un Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro o è dipendente della medesima azienda) ha la possibilità di versare, di “tasca sua”, solamente un piccolo contributo (tipicamente attorno all’1% del reddito), destinarvi il proprio TFR (non è assolutamente uno spossessarsi!) e ottenere, anche, un contributo dal datore di lavoro (quantificato in seguito di un accordo aziendale). Per cui, a fronte di un minimo versamento, le somme che genereranno un montante interamente destinato a colmare futuri gap previdenziali sono sicuramente e decisamente superiori.

4) L’investimento nel fondo pensione non è doverosamente rischioso (anche se sarebbe meglio lo fosse!). Troppo spesso il lavoratore risulta restio a destinare somme di sua pertinenza ai mercati finanziari per la paura che questi mandino in fumo i “sudati” risparmi. Tuttavia, se da un lato, praticamente tutti i fondi pensione offrano una molteplicità di comparti (fra cui anche quello a capitale garantito) in cui investire i propri contributi, dall’altro occorrerebbe considerare come, per colmare l’ingente gap pensionistico, la soluzione migliore sia quella di un investimento particolarmente aggressivo soprattutto se la pensione risulta essere ancora lontana (ovvero quando si hanno più di dieci/quindici anni di lavoro all’orizzonte). Il comparto di investimento può, comunque, essere sempre modificato in corso d’opera.

5) Nell’investimento finanziario si può sempre ridurre la volatilità. Ogni investitore ha imparato che, nell’ottica di un investimento finanziario, risulta essenzialmente importante la diversificazione per ridurre la volatilità dell’investimento. Tale opportunità è presentata anche da diversi fondi pensione che, grazie alla multicontribuzione, consentono di “spalmare” i propri contributi su diverse linee del fondo. In particolare, è anche possibile, per le adesioni collettive, scegliere una linea di investimento per ogni singola voce di finanziamento come, ad esempio, destinare il contributo azienda a una linea aggressiva (che anche se perdesse capitalizzazione non porterebbe a una perdita per il cliente), il contributo lavoratore a una linea bilanciata e il TFR a una linea garantita...

Concludendo ritengo che, seppur si possa ancora migliorare, a livello normativo, il funzionamento delle forme di previdenza complementare l’unico modo che possa consentire di sviluppare la sensibilità dei lavoratori (prima che si accorgano che è troppo tardi per fare qualcosa) è quello di diffonderne la conoscenza e le relative informazioni. E se i mass media (televisione in primis) non se ne occupano spetta proprio al consulente finanziario diffondere l’educazione finanziaria anche su questo aspetto.


Jonathan Figoli
Jonathan.Figoli@professionefinanza.com
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