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Fondi pensione: cresce l’alternativa “etica”

Meno rischi e rendimenti più alti nel lungo periodo. Adesso anche l’Italia ci crede

di Andrea Di Turi 15 lug 2009 ore 10:14

Da anni si dice ai lavoratori che la previdenza complementare è una necessità, perché quella obbligatoria sarà sempre meno in grado di dare garanzie. I lavoratori si sono così dovuti interrogare su come costruirsi questa pensione complementare: se farlo, ad esempio, attraverso i fondi pensione chiusi, o negoziali, cioè quelli legati ad una determinata categoria professionale, oppure se andare sul mercato rivolgendosi ai fondi pensione aperti o aderendo a forme pensionistiche individuali. E nell’operare la scelta, si è legittimamente suggerito ai lavoratori di prestare attenzione al loro orizzonte temporale di riferimento, al rischio connesso alla tipologia d’investimento cui affidarsi (ad esempio se preferire le azioni o le obbligazioni), insomma a tutti quei parametri che possono aiutare a scegliere in maniera fondata e razionale.

Ma ci sono anche altri parametri di cui, altrettanto legittimamente, i lavoratori potrebbero e in un certo senso dovrebbero tenere conto per effettuare la loro scelta: quelli dell’investimento socialmente responsabile o Sri (Socially responsible investment), che sempre più spesso vengono indicati anche con l’acronimo Esg (Environmental, social and governance).

Diciamo “dovrebbero” perché l’utilizzo di questi parametri nella selezione degli investimenti, come un ampio corpo di studi e analisi a livello internazionale ha ormai confermato, è spesso in grado di mettere al riparo da una serie di rischi che gli investimenti tradizionali non riescono a cogliere. Inoltre, soprattutto nel lungo periodo, che è l’orizzonte tipico delle forme d’investimento a scopo previdenziale, la selezione etica è spesso in grado di condurre a rendimenti anche superiori a quelli degli investimenti tradizionali.

Ci sono dunque buoni motivi perché la variabile etica, chiamiamola così, venga considerata con attenzione anche in riferimento alle scelte legate alla previdenza complementare, diventando uno dei fattori capaci di orientare la scelta: fondi pensione che utilizzano criteri Esg, cioè, potrebbero essere preferiti da chi vede con favore quei criteri, sia perché ha con essi un’affinità valoriale, sia per ragioni squisitamente legate alla qualità dell’investimento.

In Italia i fondi pensione, più in generale i grandi investitori istituzionali, fino ad oggi sono stati un po’ alla finestra dell’investimento socialmente responsabile. Il mercato dei prodotti finanziari etici nel nostro Paese è infatti per oltre il 90% retail, mentre accade l’opposto in Europa, dove per circa l’80% è in mano appunto agli investitori istituzionali. Va detto al riguardo che in Italia, per legge, i fondi pensione non hanno alcun obbligo di investire secondo criteri di selezione etica, bensì hanno un obbligo di disclosure cosiddetto di “whether and how”: devono cioè dichiarare “se e in quale misura” tengono in considerazioni aspetti ambientali, sociali ed etici nelle loro politiche d’investimento e nell’esercizio dei diritti di voto (D.Lgs. 252/2005, art. 6, comma 13, lettera c).

Presto, però, lo scenario potrebbe cambiare, come ha evidenziato una recente ricerca condotta da Mefop (la società per lo sviluppo dei fondi pensione) insieme al Forum per la finanza sostenibile, condotta su un campione rappresentativo dell’industria previdenziale italiana. “Dall’indagine condotta – dice Marianna Benatti, program officer del Forum per la finanza sostenibile - risulta che circa il 20% dei fondi pensione del campione investe secondo criteri Esg, ma un altro 20% sta valutando l’opportunità di farlo. La percentuale salirebbe così al 40%, un dato interessante. Bisogna però tener conto che gli operatori del settore si attendono una crescita moderata: la volontà c’è, ma esistono delle barriere non facilmente superabili, che rallentano il processo di crescita del fenomeno”, ad esempio il fatto che sulla definizione dei criteri Esg da utilizzare non vi è unanimità di vedute.

Sono soprattutto i fondi pensione chiusi a manifestare già ora un atteggiamento particolarmente attivo sul tema, sia per il loro fine sociale, sia perché spinti dai loro iscritti, che sempre più chiedono che le politiche d’investimento integrino considerazioni sociali e ambientali. I fondi pensione aperti sono invece quelli che in misura maggiore stanno ragionando sulla possibilità di adottare principi Esg.

Ma quali sono gli approcci socialmente responsabili all’investimento che prevalgono fra i fondi pensione italiani? Dalla ricerca “emerge una varietà di modalità operative – prosegue Benatti - e una riluttanza alla standardizzazione di prodotti e processi. Prevale l’approccio sui criteri di screening. E tra i fondi pensioni aperti, un 35% esercita il dritto di voto. La pratica dell’azionariato attivo o engagement, che è molto diffusa nel nord Europa, in Italia stenta invece a decollare”.

Per quanto riguarda più propriamente le modalità d’investimento, infine, emergono alcune distinzioni fra le varie forme di fondi pensione. “I fondi pensione aperti – conclude Benatti – prediligono l’istituzione di una apposita linea che investa secondo i criteri Esg, mentre tra i fondi chiusi prevale l’investimento Esg di una quota parte del patrimonio di uno o più comparti, in genere la parte azionaria. Esistono poi casi di alcuni fondi che applicano i criteri Esg trasversalmente al patrimonio di tutti i comparti”.

Andrea Di Turi
SRivoluzione
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