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Comuni voraci, così l’Imu ignora chi affitta

L’aliquota introdotta dal governo ha subito aumenti ovunque. Gli alloggi lasciati sfitti sottoposti allo stesso prelievo di quelli concessi in locazione

di Carlo Sala 12 set 2012 ore 12:51
Il mattone è sempre più un’ancora di salvezza. Ma per le casse pubbliche. Il titolo del Sole24Ore – “Imu senza freni” – sintetizza in maniera quanto mai efficace la voracità che si sta manifestando intorno agli immobili di proprietà: orfani dell’Ici, i Comuni si stanno rifacendo con gli interessi, approfittando della facoltà – concessa dalla legge nazionale – di variare a loro piacimento l’aliquota dell’imposta municipale unica. Non che il governo Monti nel concedere loro ampi margini di manovra non abbia fissato anche dei limiti, ma sulle seconde case – per le quali l’aliquota minima è già quasi il doppio che per l’abitazione principale (0,76% contro 0,4%) – il limite viene spesso sfiorato.

Se infatti l’aliquota media nazionale dell’Imu effettivamente applicata sulla prima casa si discosta poco dal valore base – è lo 0,44% - per le seconde case, che siano sfitte oppure no, il prelievo si aggira in media intorno all’1% (il tetto massimo è 1,06%, se si tratta di casa di abitazione propria 0,6%). Se non c’era da illudersi sulla facoltà lasciata ai Comuni di ribassare il prelievo sulla prima casa fino alla metà, portandolo allo 0,2%, i Comuni stanno dimostrando di non aver alcun interesse ad introdurre incentivi a chi cerca casa: un prelievo su seconde case in affitto pari a quello su seconde casa lasciate sfitte è infatti, in sostanza, un lavarsi le mani delle scelte dei proprietari di case. Ma è anche un mancato gettito fiscale: i canoni d’affitto sono infatti redditi imponibili, e se è vero che la maggior parte della tassazione sul reddito può lasciare indifferenti le amministrazioni locali, perché finisce nelle casse dello Stato centrale, è altrettanto verò che le addizionali Irpef che ciascun Comune può fissare, secondo ambiti di discrezionalità prefissata, dovrebbero spingere i Comuni a incentivare le locazioni immobiliari.

Riferendo ancora che solo “un Comune su 5 prevede sconti per le case date in prestito ai parenti, uno su dieci per i negozi o i laboratori usati direttamente dal titolare” , il quotidiano confindustriale fa sapere che il valore mediano dell’Imu calcolato su tutti gli immobili per i quali si applica – prime abitazioni e non – porta a un valore dello 0,95%.

Mentre sui social network dilaga la protesta per l’esezione dall’imposta dei beni riconducibili alla Chiesa, l’Imu così come viene sfruttata dai vari Comuni può rappresentare un problema di competitività dell’Italia – sotto forma di eccessivi costi di produzione – come l’ennesimo mancato gettito fiscale sotto altra forma – imposte sui redditi da attività di impresa -. E’ sempre infatti IlSole24Ore a osservare che l’applicazione concreta dell’Imu crea “una situazione molto pesante per negozi, uffici, capannoni” e che di contro “solo poche amministrazioni hanno previsto sconti legati a particolari condizioni, come l'avvio di attività oppure le iniziative dei giovani”.

Proprio in risposta ai Comuni – non tanto perché voraci quanto perché effettivi esattori dell’imposta – l’avvocato Laura Cavandoli (docente di diritto privato all’Università di Parma) ha annunciato – per conto del movimento antitasse Tea Party – la messa a punto di un ricorso contro l’Imu. Tecnicamente si tratta di contestare in punta di diritto le procedure attraverso i quali dal governo centrale viene rilasciata ai singoli Comuni la facoltà di fissare l’aliquota del prelievo, all’atto pratico si tratta di presentare al Comune competente richiesta di rimborso dell’Imu e, in caso di rifiuto dell’amministrazione cittadina di concedere tale rimborso, di trascinare lo stesso municipio davanti alla commissione tributaria per provare a ottenere da quest’ultima un verdetto che imponga di restituire quanto prelevato. In bilico tra successo e insuccesso come succede per ogni istanza davanti a un giudice, il ricorso permetterebbe tra l’altro di ottenere la restituzione dell’intera somma prelevata, non solo della quota in più che ogni amministrazione cittadina può decidere rispetto ai valori base introdotti dal governo.

Prima di chiederla indietro, comunque, l’Imu va saldata
. Sicuramente entro il 16 dicembre, ma per il 5,5% dei 16 milioni di persone chiamate all’adempimento – per coloro cioè che hanno scelto di spalmare l’imposta su 3 rate anziché 2 – già lunedì 17 settembre.

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Centotrentuno euro l’importo medio della rata settembrina per la prima casa, i più salassati saranno i cittadini di Bologna – con una rate di 293 euro – seguiti da quelli di Milano (269), Genova (227), Torino (224), Roma (199) e Bari (196).

Va meglio per chi abita nell’hinterland delle grandi città: ancora la Cgia stima una  differenza media del 62% tra l’importo della seconda rata dell’Imu pagata nei Comuni capoluogo e l’importo versato per la medesima ragione nei Comuni che capoluogo non sono. Vivere fuori dai grandi centri conviene soprattutto nelle aree di Venezia e Cagliari, dove tale differenza sale all’82%, ma anche di Torino (sotto la Mole si pagherà il 75% in più che nei centri della provincia), Napoli (69%), Roma (66%) e Milano (62%). Situazione inversa per capoluogo e hinterland di Macerata (-7% se si abita nella città che fa Provincia), Lucca (-19%), Latina (-44%) e Belluno (-52%), l’incidenza dell’Imu nei vari Comuni e per tutti gli italiani nel complesso sarà chiara comunque soltanto a fine anno. I Comuni hanno infatti facoltà di variare l’aliquota fino al 31 ottobre, anche dopo la scadenza della seconda rata, il governo centrale ha mantenuto una facoltà di intervento fino al 10 dicembre. Solo il 16 quindi si potrà sapere con certezza quant’è l’ammontare dovuto per l’intero anno in corso e calcolare quindi l’importo ancora da saldare, con l’ultima rata, una volta dedotto gli acconti di giugno e, per chi paga in 3 tranches, di settembre.  

Carlo Sala

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