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Oltre 3000 enti pubblici superflui divorano 7 miliardi l’anno

Dall’Emilia, primatista, alla Sardegna, nello Stivale continuano a sopravvivere consorzi e altre strutture inutili: svuotati di funzioni dai Comuni, sfuggono a ogni tentativo di tagliarli.

di Carlo Sala 20 ago 2012 ore 09:42
L’“Istituto culturale dei ladini storici della Dolomiti bellunesi”, il “Centro piemontese di studi africani”, o ancora l'“Istituto per la conservazione della gondola e la tutela del gondoliere”. Sono solo alcuni dei 3.127 enti superflui - tra enti, consorzi, società partecipate da Regioni, Province e Comuni – censiti dall’Unione delle Province italiane (Upi). Dal “Consorzio intercomunale soggiorni climatici di Verona” al “Centro internazionale del cavallo”, dalla “Fondazione centro studi transfrontaliero del Comelico e Sappada” al “Centro di documentazione di storia della psichiatria” fino all’“Istituto per le piante da legno e l'ambiente”, nel loro complesso – e dopo che il governo Monti ne ha soppressi 39 – questi enti costano ogni anno 7 miliardi alle casse pubbliche (2,5 dei quali per le remunerazioni dei consigli di amministrazione).

Sostanzialmente utili, a detta della stessa Upi, soltanto per piazzare chi non può trovare impiego più proficuo – solo in Sardegna gli enti regionali impiegano 3.349 dipendenti e risorse per il personale pari a 230 milioni, mentre le 32 società partecipate dalla Regione a statuto speciale hanno addirittura un organico di 4.316 persone – questi enti fioriscono soprattutto al Nord. A partire dall’Emilia Romagna, che con 368 strutture detiene il primato italiano, davanti a Lombardia (297) e Toscana (267). Buon ultimo il Molise, troppo piccolo per estensione geografica e popolazione per ospitare più di 21 enti di questo genere, la Campania si è dotata di 262 strutture, tra le quali una preposta alle “applicazioni dei materiali plastici per i problemi di difesa dalla corrosione”, il Veneto 258, il Piemonte 253, la Liguria 220, la Sicilia 206. Più indietro, la Puglia può vantare 2 chicche come l’“Istituto pugliese di ricerche economiche e sociali” e l’“Ente autonomo fiera mostra dell'Ascensione di Francavilla Fontana”.

Un notevole contributo a innervare le fila degli enti tutto sommato parassitari che costellano la penisola lo danno i 91 consorzi di bonifica tuttora in funzione (soprattutto nel Veneto, primatista con 21 strutture, dal “Consorzio di bonifica Basso Piave”al “Consorzio di bonifica Sinistra Medio Brenta”) e i 222 ambiti territoriali ottimali (Ato) preposti chi alle acque (91), chi ai rifiuti (131) con un costo complessivo di 20 milioni al mese. I primi sono stati di fatto svuotati di ogni utilità effettiva dal momento in cui a svolgere le loro funzioni sono subentrate Regioni, Province e Comuni, i secondi sono sopravvissuti a una soppressione programmata per legge nel 2010 (e riscadenzata dal governo Monti per la fine di quest’anno); entrambi mantengono una pletora di consiglieri, presidenti, revisori dei conti. Completano il quadro 63 bacini imbriferi montani (Bim): deputati a prendersi cura dei Comuni che affacciano su un corso d’acqua (da qui l’aggettivo imbrifero), hanno imbrigliato la soppressione a cui li si era destinati tempo addietro e, nel 2011, hanno consumato risorse pubbliche per un importo di 150 milioni di euro.

Carlo Sala
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