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Italia prima per evasione fiscale in Europa: 340 miliardi non dichiarati

Si evade di più al Nord e nel settore industriale. Economia mafiosa a parte, il fisco viene evaso soprattutto grazie al lavoro nero. E l’economia sommersa italiana vale il doppio di quella tedesca e francese

di Carlo Sala 23 ago 2012 ore 09:01
Sanzionati anche sul piano lessicale, da un Mario Monti che vuole revocare la patente loro assegnata di “furbi”, gli evasori fiscali italiani si sono visti assegnare di recente una sorta di (platonica) medaglia d’oro da Krls Network of Business Ethics (organizzazione che raggruppa professionisti ispirati al fondatore dei Gesuiti, Ignazio De Loyola, e intenti a fornire assistenza volontaria). Mettendo a confronto dati ministeriali, delle banche centrali, degli istituti di statistica e delle polizie tributarie dei singoli Stati europei per conto dell’Associazione contribuenti italiani, Krls ha infatti rilevato che in Italia nella prima metà di quest’anno sono state evase imposte, sia dirette che indirette, per un importo di 180,9 miliardi. La cifra più alta in Europa che fa appunto degli evasori italiani i primatisti nel Vecchio Continente.

L’analisi stima che l’economia sommersa in Italia sia pari al 21% del prodotto interno lordo, per un valore quindi di 340 miliardi, e che l’evasione fiscale nel primo semestre 2012 sia cresciuta dal 14,1% in media nazionale, con una punta del 14,9% al Nord.

Si evade anzitutto nel Nord Ovest – 31,4% del totale nazionale – e poi nel Nord Est -  27,1% - mentre Centro e Sud si attestano su tassi rispettivamente del 22,2% e 19,3%. Numericamente, gli evasori sono in crescita anzitutto in Lombardia: nell’anno corrente sono aumentati del 15,6% facendo della locomotiva d’Italia la primatista anche quanto a valore assoluto degli importi occultati (è made in Lombardy il 15,9% di quanto è stato sottratto al fisco). Probabilmente per un meccanismo di correlazione, per cui all’aumentare delle tasse e della pressione tributaria complessiva aumenta anche chi si dà fiscalmente alla macchia, la Lombardia è comunque in vasta compagnia quanto a numero di evasori. Cresciuti, nell’ordine, del: 15,1% in Veneto, 14,2% in Val d’Aosta, 13,9% nel Lazio, 13,5% in Liguria, 13,4% in Piemonte, 13,1% in Trentino Alto Adige, 12,6% in Toscana, 11,9% nelle Marche, 10,8% in Puglia, 10,6% in Sicilia, 10,1% in Emilia Romagna, 8,2% in Campania e 7,1% in Umbria.

Messi insieme, i contributi degli evasori nostrani fanno sì che il valore dell’economia sommersa nello Stivale sia doppio rispetto a quello di Francia e Germania e superiore a quello della Grecia, seconda classificata nella relativa graduatoria europea con un sommerso pari al 20,8% del Pil ufficiale (seguono: Romania, 19,1%; Bulgaria, 18,7%; Slovacchia, 17,2%; Cipro, 17,1%).

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Come non c’è praticamente Regione che non evada, così non c’è settore che non provi a sfuggire all’amministrazione tributaria. Industriali i principali evasori (32,7%), sul podio ci sono anche bancari e assicurativi (32,2%) e commercianti (10,8%); alle loro spalle seguono artigiani (9,4%), professionisti (7,5%) e lavoratori dipendenti (7,4%).

Nel dettaglio, l’evasione dipende anzitutto dai business – talvolta in sé anche pienamente legali - gestiti dalla criminalità organizzata (in crescita del 18,7% nel Nord Italia e con un sensibile aumento della presenza in tutto il Paese dei clan russi e cinesi): 78,2 miliardi di euro. Sul crinale tra legalità e illegalità, l’evasione si realizza poi attraverso l’impiego di manodopera in nero. Stimando in 2,9 milioni  le persone – prevalentemente cinesi ed extracomunitari – impiegati senza regolare contratto e includendo tra questi anche 850mila lavoratori regolari che arrotondano però con un secondo o terzo mestiere, il lavoro nero produce un mancato gettito d’imposta calcolato in 34,3 miliardi. Le stime ipotizzano che non sia a norma un lavoratore ogni 4 nell’agricoltura e 1 ogni 10 nel comparto edile.

Chi gestisce affari legali, invece, contribuisce all’evasione per 37,8 (grandi imprese) e per 22,4 miliardi l’anno (società di taglia più minuta). Una big company ogni 3 ha chiuso i conti in passivo, evitando quindi di dichiarare redditi e pagare le relative imposte, e quasi tutte (94%) si sono avvalse della ramificazione in più Paesi per delocalizzare i profitti attraverso il cosiddetto “transfer pricing” e soggiacere quindi a regimi fiscali più benigni di quello italiano. Per dare una dimensione di quest’ultimo fenomeno – tecnicamente elusione fiscale, meno grave dell’evasione, anche se norme recenti sanzionano operazioni compiute al solo fine di alleggerimento degli oneri fiscali – basti pensare che  nel 2012 le 100 maggiori imprese italiane hanno registrato un calo del 14,2% degli acconti di imposta dovuti all’erario. Sul fronte delle società di capitali più minute, circa 800mila in tutto, quasi 8 su 10 (78%) hanno dichiarato profitti non superiori a 10mila euro, quando non nulli o negativi. Molte di loro, in effetti, hanno una vita non superiore ai 5 anni. Infine contribuiscono all’evasione anche i singoli – liberi professionisti, imprenditori individuali – che, attraverso il mancato rilascio di scontrini, fatture e ricevute, fanno venir meno 8,2 miliardi di imposte.

Vera guerra, secondo quanto recentemente dichiarato dal premier al settimanale Tempi, il contrasto all’evasione in Italia avviene peraltro con molto più understatement di quanto non accada proprio in Inghilterra. Dopo che nel 2008 è stata autorizzata la pubblicazione on-line di tutte le dichiarazioni dei redditi degli italiani nel 2005, un decreto della presidenza del Consiglio emanato il 10 luglio scorso e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 28 consente ai Comuni di divulgare – sulla base di dati forniti dal Ministero della Finanze – il tenore di vita dei propri residenti, così da consentire a chiunque – come già col 117 di Vincenzo Visco – di denunciare eventuali anomalie o irregolarità. L’Inghilterra – che tassa solo i proventi maturati sul proprio suolo (per questo Londra è stata scelta come residenza da Flavio Briatore e Valentino Rossi, tra gli altri) – ha invece già diffuso, sul sito della Her Majesty’s Revenue and Customs, le fotografie dei 20 most wanted, i più ricercati, a livello fiscale (molti dei quali peraltro espatriati, a Dubai o altrove).

Tornando in Italia, particolarmente efficace, o temibile a seconda dei punti di vista, appare il sistema Serpico: “cervellone” in grado di controllare la corrispondenza tra tenore di vita e dichiarazione dei redditi mettendo a confronto dichiarazioni dei redditi, conti bancari, bollette, e ogni altra traccia di pagamento o introito, nella sua azione dipende sostanzialmente dall’intuito e dall’abilità del personale dell’amministrazione tributaria nell’individuare le “impronte” di possibili evasioni. Quando Serpico riscontri effettiva difformità tra dichiarazione dei redditi e tenore di vita, il soggetto interessato viene interpellato dall’amministrazione tributaria perché spieghi tale discrasia.

Carlo Sala

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