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Italia in recessione, che fare?

Nessuna rotta verso una salvezza certa, ma spunti interessanti, e sperabilmente utili, per limitare i danni.

di Marco Delugan 16 dic 2011 ore 16:27
Ormai sembra inevitabile. Le stime che giungono da istituti pubblici e privati dicono che nel 2012 il prodotto interno lordo italiano diminuirà. Una prospettiva poco incoraggiante. Con Alfonso Scarano, analista finanziario indipendente e collaboratore di AbcRisparmio, abbiamo parlato di cosa potranno fare imprese, famiglie e Stato per fronteggiarla. Nessuna rotta verso una salvezza certa, ma spunti interessanti, e sperabilmente utili, per limitare i danni.

Cosa vuol dire recessione?

«La recessione è una inversione della crescita della produzione netta del Paese, di fatto identificata con una riduzione del Pil. Il Pil è ad oggi la misura più utilizzata della ricchezza economica. La recessione è quando il paese non cresce ma decresce dal punto di vista della creazione del valore».

Con due trimestri consecutivi di riduzione del Pil si può parlare di recessione tecnica

«Al di la dei tecnicismi, e cioè di quando si possa o meno dichiarare una recessione tecnica, il fatto saliente è che fino a due settimane fa in Italia non si parlava di recessione, mentre oggi se ne parla in maniera diffusa. Le previsioni per il 2012 sono negative e noi siamo come dei naviganti che vedono la tempesta all’orizzonte e qualche fulmine, e la tempesta è la e non possiamo fare altro che passarci in mezzo».

Quanto potrebbe durare?

«Questo è impossibile da sapere. Tutte le previsioni dipendono da ipotesi. Chi solo una settimana pensava che la parola recessione diventasse di uso così diffuso com’è adesso? A un certo punto quest’ultima manovra finanziaria (APPROFONDIMENTO)ha imposto la consapevolezza che se colpisci i redditi che creano consumi di fatto indebolisci l’economia. Lo stesso Monti ha ammesso che la sua manovra ha aspetti recessivi».

Come devono attrezzarsi i naviganti?

«I naviganti adesso possono far ben poco. Se avessero più tempo potrebbero cambiare rotta o tornare in porto. Se i naviganti sono lavoratori di un’impresa in serie difficoltà la cosa migliore è andare a vedere cosa è stato fatto nel mondo in situazioni simili. Un esempio importante è quello degli operai argentini durante l’ultima crisi. E’ stata la cultura cooperativa che ha salvato molto lavoro e molto pane per le famiglie. Su questo punto suggerirei di rivedere il film di Naomi Klain “The Take”».



«Per molti sarà uno dei modi per salvare il proprio lavoro, l’impresa, nella durezza ma anche nella consapevolezza che si è tutti nella stessa barca, anche l’imprenditore. E molti imprenditori a causa della crisi si sono ammazzati. Le statistiche degli imprenditori suicidi negli ultimi tre anni non vengono date. Mentre quello era un sintomo importante. Sono stati considerati come casi singoli, depressioni umane e non come fenomeno sociale, mentre proprio di un fenomeno sociale si trattava».

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E i consumatori?


«In generale non mancherà il pane. Siamo comunque in condizioni molto privilegiate, ma dovremo muoverci verso una nuova cultura, una cultura post consumista. Consumi intelligenti, sobri, di cose che abbiano un valore intrinseco e non semplicemente consumistico. E soprattutto risparmio energetico ed ecosostenibilità. Sarebbe molto bello che da questa crisi si uscisse con un modello di ricchezza post consumista, a cui corrisponderebbe un modello di produzione che darebbe lavoro a tantissima gente per molti anni».

Che ruolo può avere lo Stato?

«Il terzo articolo della costituzione, scritto da Lelio Basso, dice che ”E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Il problema è che lo Stato non riesce più a rimuovere gli impedimenti all’effettivo sviluppo delle persone. Sono le basi stesse del patto sociale ad essere in pericolo. Ecco, lo stato dovrebbe difendere quello che è un elemento costitutivo del patto sociale perché altrimenti la crisi andrà a negare dei diritti costituzionali».




«Perché dare a tutti i cittadini le stesse possibilità di crescita culturale e di espressione è la base di una vera meritocrazia. Anche in campo economico, di ripresa dalla recessione che dovremo affrontare, poter contare su più talenti, e non solo di quelli che provengono dalle classi agiate, è sicuramente una carta a vantaggio del Paese».


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Marco Delugan
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