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Crisi economica: le contromosse della Francia di Francois Hollande

Severità verso l’apparato pubblico, le banche e i benestanti. Sostegno alle le fasce sociali più deboli, come i giovani e gli anziani. Le linee programmatiche parallele di Francois Hollande

di Carlo Sala 23 lug 2012 ore 10:33
Sessantacinquemila, una ogni 954 citoyens, sotto Nicholas Sarkozy, le auto blu d’Oltralpe non turbano più di tanto i sonni di Francois Hollande. Nella piattaforma programmatica che l’ha portato all’Eliseo non vi si fa infatti alcun cenno, anche se l’obiettivo di riportare i conti pubblici in linea coi parametri di Maastricht per il 2017 lascia spazio ad ampie sforbiciate. La manovra correttiva del 4 luglio la sforbiciata l’ha però indirizzata ai componenti del governo, decurtando del 30% le loro retribuzioni ministeriali.

Contrario a inserire in norme di rango costituzionale la regola del pareggio di bilancio prevista dal Fiscal Compact europeo, così da non tirare troppo la corda con Angela Merkel ma tenersi nel contempo le mani libere per declinare secondo schemi keynesiani di deficit spending l’asserita priorità data al lavoro, il presidente francese segue in effetti 2 linee: severità verso l’apparato pubblico, e ancor più le banche e i benestanti da un lato, manica piuttosto larga invece rispetto alle fasce sociali più deboli, come i giovani in cerca di lavoro e gli anziani. Ma la prima linea, volta al riordino dei conti, non appare – come invece è nel modo di pensare tedesco – presupposto della seconda, quanto piuttosto parallela ad essa. 

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Sul versante sociale Hollande si prefigge di inserire al lavoro 150mila giovani, di favorire attraverso apposite esenzioni contributive 500mila contratti di generazione grazie a cui le aziende mantengano in servizio fino alla pensione dipendenti anziani e assumano a tempo indeterminato dipendenti under 25; ha annunciato l’abolizione della norma che imponeva di sostituire solo il 50% dei dipendenti pubblici usciti dalle piante organiche; ha promesso la pensione a 60 anni per tutti coloro che abbiano iniziato a lavorare prima dei 18 (a tal fine i versamenti contributivi saranno rincarati dello 0,1%); ha garantito la regolamentazione del mercato delle locazioni immobiliari, 2,5 milioni di alloggi sociali e per studenti, la concessione gratuita alla collettività dei terreni statali disponibili. E infine la riforma delle tariffe degli ospedali pubblici e la revisione degli onorari dei medici e del quoziente familiare (il meccanismo che commisura l’aliquota fiscale al numero di componenti della famiglia capaci di reddito).

Sul versante del rigore il primo socialista all’Eliseo dopo Francois Mitterand – che esordì con una patrimoniale, abolita da Jacques Chirac nel ’97 - ha invece annunciato una revisione del sistema fiscale con un’aliquota al 45% per redditi superiori ai 150mila euro annui e un nuovo prelievo del 75% per quelli sopra il milione, un aumento delle imposte sui grandi patrimoni per compensare la riduzione dell’imposta sulle grandi fortune (Isf) del 2011, la tassazione delle transizioni finanziarie e la separazione delle attività bancarie di credito e a carattere speculativo, sanzioni quintuplicate per i Comuni (sono 37mila, contro gli 8mila circa dell’Italia e della più estesa Germania) che non ottemperano alla legge “Solidarietà e rinnovamento urbano” sugli alloggi sociali.

La trattativa con cui il calciatore Zlatan Ibrahimovic ha ottenuto di non pagare di tasca propria gli inasprimenti fiscali che venissero introdotti Oltralpe è un po’ la cartina di tornasole sugli effetti che il progettato nuovo corso tributario comporterà per la capacità di attrarre in Francia lavoratori ad elevata specializzazione. Ma Hollande ha potuto constatare già alla vigilia del secondo turno gli effetti che anche solo gli annunci hanno prodotto sui suoi connazionali: il proposito di tassare al 75% i milionari ha fatto sorridere inglesi e belgi (tanto da sfiorare l’incidente diplomatico quando il governo di Londra ha invitato i ricchi francesi a infilare i propri averi nel tunnel della Manica e metterli al sicuro nella City). E ancor prima l’agenzia immobiliare multinazionale specializzata nell’alta fascia Knight Frank ha registrato un +19% di interessamento dalla Francia per terreni e immobili a South Kensington e in altri quartieri ultrachic di Londra. Lo stesso accadeva per Ixelles e Uccle, quartieri eleganti di Bruxelles soprannominati il 21esimo arrondissement di Parigi per la forte presenza di “esiliati fiscali” transalpini che vi prendono la residenza. Quanto basta perché quel prelievo al 75% resti in fase istruttoria in un Parlamento peraltro estremamente irretito dall’affaire Ibrahimovic.

Ma gli interventi  - per 10 miliardi subito e 33 nel 2013 – sollecitati dalla Corte dei conti per stabilizzare il debito pubblico a 1800 miliardi e conseguire l’obiettivo di portare il deficit al 4,5% entro dicembre e al 3% nel 2013 – sulla base di una crescita del Pil rivista al ribasso: +0,3% quest’anno, +1,2% il prossimo) – restano comunque prevalentemente (60%) a carico di imprese e benestanti. Sparirà l’esonero dagli oneri sociali per il lavoro straordinario in aziende con oltre 20 dipendenti, arriverà un’imposta del 3% sui dividendi azionari (ufficialmente per favorire il reinvestimento dei proventi), quella vaga forma di Tobin Tax introdotta già a febbraio da Sarkozy passerà in agosto da un’aliquota dello 0,1% ad una dello 0,2%, in attesa che la tassazione sulle operazioni finanziarie sia adottata entro l’anno – come da annuncio dello stesso Hollande dopo l’eurovertice di fine giugno – in tutta la Ue (o almeno dalla più parte dell’Eurozona). Limitati a 1,5 miliardi i risparmi derivanti dal contenimento della spesa pubblica – con un pubblico impiego cresciuto da 1,25 a 1,8 milioni di addetti, essa pesa per il 55% del Pil, percentuale tra le più alte d’Europa – la manovra porterà la pressione fiscale al 46,2% del Pil e graverà soprattutto sulle banche: si stima infatti che il loro apporto sarà di 2,3 miliardi, a fronte di un gettito complessivo per lo Stato di 7,2 miliardi quest’anno e 6 il prossimo. 

Mentre le difficoltà del settore automobilistico nazionale con la chiusura di stabilimenti e il taglio di 8mila posti di lavoro – subito rifiutato come inaccettabile dall’Eliseo - hanno fornito il primo imprevisto su cui misurare le capacità della nuova amministrazione, la validità di stime ed interventi per coniugare riordino e ripresa restano ovviamente subordinati al mantenimento della tripla A davanti agli occhi delle agenzie di rating. 

Carlo Sala

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