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Pianificare la sostenibilità contro il consumo di suolo

Per migliorare la sostenibilità nel nostro territorio è necessario incentivare ristrutturazioni e sostituzioni edilizie, recuperare le aree dismesse, avere cura del patrimonio edilizio e rinforzare le identità locali

di Marco Barbero 17 gen 2013 ore 15:08
La ricostruzione post-bellica italiana, tra il ‘45 e il ‘70, è avvenuta in modo incontrollato a causa di una legge urbanistica che non imponeva ai Comuni di dotarsi di piani regolatori. Questo ha prodotto enorme consumo di suolo e dispersione urbana. Per limitare questo fenomeno e migliorare la sostenibilità nel nostro territorio è necessario incentivare ristrutturazioni e sostituzioni edilizie, recuperare le aree dismesse, avere cura del nostro patrimonio edilizio in un’ottica conservativa, ma soprattutto rinforzare le identità locali nell’ottica di generare centri autonomi e densi in termini di attività e servizi.

Punto di partenza per questa riflessione sono tre esperienze ripetibili da chiunque: la prima in una qualsiasi città italiana, la seconda in un’area della Lombardia, la terza durante un breve volo di linea verso il Nord Europa.

Se prendeste la vostra auto o la vostra bici, faceste un giro nelle aree periferiche di una città italiana e annotaste gli edifici abbandonati o in rovina, potreste riempire molte e molte pagine.

Se vi trovaste ad attraversare o sorvolare la Lombardia, in particolare l’intero quadrante a Nord-Ovest di Milano, notereste un’unica, sterminata città, con i contorni di ogni comune assolutamente irriconoscibili. I vuoti urbani paragonabili, in proporzione alla massa del costruito, a giardinetti pubblici.

Se infine investiste circa 35 Euro ed una giornata del vostro tempo per prendere da Orio al Serio il volo per Francoforte Hahn, nell’ultima mezz’ora di viaggio, vedreste dal finestrino centri abitati compatti e distinti, con molta terra intorno.

Fatto? Bene. Avete visto tre fenomeni in una loro chiarissima esemplificazione. In Italia, a partire dagli anni ’60, si è assistito ad un continuo, crescente consumo di suolo. Da un lato vi sono gli insediamenti (prevalentemente industriali e commerciali) che dopo aver esaurito la propria funzione vengono abbandonati, generando degrado ed esternalità negative sulle aree circostanti; dall’altro lato villette unifamiliari e a schiera si sono diffuse sul territorio senza un criterio di pianificazione preciso che istituisca una distinzione chiara tra abitato e terra circostante, tra dove si può e non si può costruire. Questo fenomeno si chiama SPRAWL, diffusione, appunto.

E la vista durante il volo su Francoforte Hahn? Questi sono semplicemente i frutti di una pianificazione più attenta. Centri compatti, appunto, completi e pressoché autosufficienti, dotati di tutti i servizi necessari e ben collegati all’intorno.

Da tutto questo ho tratto alcune critiche propositive e costruttive alla politica urbanistica italiana, su cui potremmo fare qualche riflessione.

Premesso che la gestione del territorio è demandata principalmente a regioni ed enti locali, va detto che la legge nazionale urbanistica è la 1150 del 1942. Essa non ha stabilito i tempi entro cui i Comuni dovevano dotarsi di Piani Regolatori, anche per lasciare campo libero alla ricostruzione ed alla conseguente ripresa economica. Prodotto di questa politica è “il miracolo economico”, ma anche lo spaventoso consumo di suolo del nostro Paese, cui sarà posto un argine solo dopo la metà degli anni ’70. Le integrazioni successive, che pure cercavano di rappezzare i punti oscuri della legge, hanno solo ampliato a dismisura una giurisprudenza ad oggi caotica, nei cui gangli risulta molto difficile muoversi.

Come uscire da questa situazione?
Serve agire a diversi livelli. A livello nazionale occorre varare una nuova legge urbanistica che uniformi le disposizioni locali, definisca in modo chiaro e univoco i parametri e renda strutturale il principio della limitazione del consumo di suolo, in un’ottica di sostenibilità.

Si dovrebbe ad esempio tagliare la pressione fiscale sul reddito potenziale (l’attuale IMU sui terreni edificabili), che induce i proprietari a rendere disponibili terreni troppo costosi da mantenere dal punto di vista fiscale. Meglio sarebbe tassare i patrimoni edilizi stanziali, ovvero non in locazione né in vendita. In questo modo si incentiverebbe maggiore mobilità del mercato immobiliare, facendo scendere i prezzi e diminuendo la redditività delle operazioni speculative. Questo aumenterebbe certamente la qualità del patrimonio edilizio, spostando il peso del settore sulle ristrutturazioni ed incentivando politiche di recupero, piuttosto che l’attuale sterminata produzione di edifici che restano, in molti casi, invenduti.

Ancora, sarebbe necessario rimodulare le fonti di approvvigionamento economico dei Comuni: oggi molta parte del flusso di cassa in ingresso alle amministrazioni dipende dall’incasso degli oneri di urbanizzazione. Questo genera interesse da parte del Comune a favorire, anziché limitare, il consumo di suolo, oltre a rendere molto allettanti i progetti speculativi che massimizzano lo sfruttamento del terreno e dunque la produzione di oneri. Questa dinamica va ribaltata.

Sono infine da potenziare, come già indicato della Comunità Europea, le politiche di sgravio fiscale sulle opere di ristrutturazione del patrimonio edilizio.

Questi sono solo alcuni esempi di ciò che lo Stato deve fare, ma c’è un cambiamento culturale che la politica dovrebbe agevolare: per rendere sostenibili le nostre città dobbiamo renderle più forti in termini di identità economica e territoriale, ancorché inserite in un tessuto nazionale e internazionale. In altre parole, rinforzarne la dimensione locale perché non solo i prodotti, ma anche i servizi ed il lavoro, rientrino in una logica sostenibile di “km 0”.

E il singolo cittadino sensibile a questi temi che cosa può fare?

Certamente quanto suggerito nell’articolo pubblicato recentemente: prendersi cura del proprio patrimonio immobiliare. Ristrutturare, approfittando di tutti i benefici, anche economici e fiscali, di simili operazioni. Ma soprattutto parlare, scambiare informazioni e commenti, chiedere conto di questi problemi ai propri tecnici di fiducia, ma anche alle proprie amministrazioni comunali per verificare come vengano trattati nelle politiche urbanistiche locali, interessarsi al proprio territorio perché è come interessarsi di casa nostra.

Marco Barbero - Coffee Architects
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