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Il manifesto dell’economia sociale

Nuovi stili di vita e nuovi modi di organizzare la società e l’economia. Ecco il manifesto per l’Italia sostenibile fatto da chi nell’economia sociale opera da anni

di Andrea Di Turi 28 dic 2012 ore 09:21
S’intitola “Per un’economia sociale. Idee e persone per un’Italia sostenibile”. È un Manifesto, realizzato da chi nel mondo dell’economia sociale opera da anni. E oggi chiede a chi avrà responsabilità di governo di guardare alle tante, felici esperienze di altra economia esistenti in Italia per gettare le basi di un nuovo modello di sviluppo sostenibile, equo e inclusivo.

Il Manifesto prevede cinque aree, come si può vedere sul sito web dedicato (che riporta l’elenco dei firmatari):
1. Crisi di fiducia
2. Risorse della società civile
3. Economia sociale di territorio
4. Nuova governance internazionale
5. Conversione ecologica.

In queste aree si offre un’analisi della situazione socio-economica in cui l’Italia, ma non solo, si trova e degli elementi di fondo (in primis il crollo della fiducia nel futuro) che la caratterizzano. Ma soprattutto si indicano le direttrici su cui operare per invertire la rotta. Elaborando proposte che pescano da quel vastissimo bacino di realtà e modelli di economia sociale che si sono affermati negli anni: imprese sociali, commercio equo-solidale, finanza etica, ambientalismo e consumo critico, volontariato, cooperazione internazionale.

Territori e auto-organizzazione - Combattere la crisi di fiducia che sta corrodendo sia la società civile, sia l’economia, significa avviare una ricostruzione dal basso, dai territori e dalle persone, da quel capitale sociale che è la prima vera ricchezza, non solo economica, di un Paese. È questo il primo e forse più importante messaggio lanciato dal Manifesto.

Occorre dunque guardare alle esigenze delle persone, specie le più deboli e a rischio di emarginazione, e riscoprire le forme di cooperazione e mutualismo, di auto-organizzazione fra i cittadini che fanno parte della storia dell’Italia. Ma che l’ideologia neoliberista ha progressivamente messo ai margini. (LEGGI ANCHE: “Impresa sociale” per uscire dalla crisi)

No al neoliberismo - La riscoperta di forme organizzate di partecipazione, sociale ed economica insieme, deve però andare di pari passo con la definitiva archiviazione dei falsi dogmi neoliberisti sulle miracolose capacità del libero mercato, del resto miseramente e drammaticamente crollate con la crisi. Si deve invece riaffermare la possibilità, anzi, la necessità, di un modo diverso di intendere la relazione tra economia e società, che sappia andare al di là dell’ormai sterile contrapposizione tra Stato e mercato.

Ciò significa rifiutare anche l’ossessione della crescita illimitata, diretta conseguenza del pensiero neoliberista. Il quale è anche alla radice dell’aumento preoccupante delle disuguaglianze e della decadenza dei beni comuni che la crisi porta con sé.
(LEGGI ANCHE: Economia dei beni comuni: un nuovo modello di sviluppo)

Lavoro e inclusione sociale - Mettere al centro il lavoro: su questo il Manifesto è molto chiaro. Significa agire per l’inclusione sociale, la protezione dei lavoratori precari e disoccupati, la redistribuzione del carico fiscale sui grandi patrimoni e le rendite. E per un quadro normativo del mercato del lavoro da definire nella prospettiva del “lavoro decente”, possibilmente stabile e che garantisca il potere d’acquisto anche ai redditi bassi.

Per conseguire tali obiettivi è però indispensabile che il mondo delle imprese sia incentivato verso l’adozione di strategie e programmi di responsabilità sociale (o csr), che appunto integrano a pieno titolo nell’agire economico quelle considerazioni sociali e ambientali che le teorie neoliberiste rifiutano. Serve dunque ripensare i modi di fare impresa: nell’ottica del lungo periodo, del radicamento sul territorio e del rispetto della dignità del lavoro. Riconoscendo come modi d’intendere l’attività economica fondati su motivazioni etico-sociali, e attenti al sociale e all’ambiente, soprattutto con la crisi riescano a creare occupazione e favorire lo scambio meglio di quelli tradizionali orientati unicamente al profitto.
 
Economia e stili di vita da riconvertire - Ineludibile è anche la promozione della transizione verso modelli di attività economica sostenibili. Vale a dire non più predatori nei confronti delle risorse naturali ma capaci di tutelarle e valorizzarle.

Energie rinnovabili, risparmio e efficienza energetica, riduzione delle emissioni di Co2, lotta allo spreco e al consumo di territorio, recupero e riutilizzo di materiali, produzioni non inquinanti: tutto ciò deve trovare posto nell’agenda delle priorità. E si devono prevedere incentivi per i comportamenti socialmente e ambientalmente responsabili delle imprese come dei consumatori, che vanno resi sempre più consapevoli delle conseguenze sociali e ambientali dei loro stili di vita e di consumo. (LEGGI ANCHE: Cos’è la green economy)

Un nuovo ordine internazionale - Nell’era della globalizzazione, sarebbe illusorio ritenere che un Paese, per quanto virtuoso, potesse da solo reindirizzare il modello di sviluppo mondiale. Il Manifesto indica perciò una serie di ambiti nei quali occorre operare profonde revisioni su scala globale, identificando quelllo che può essere definito un nuovo ordine internazionale.

Si tratta ad esempio di rivedere le regole del commercio internazionale, la regolamentazione dei mercati finanziari, il controllo dell’operato delle banche too-big-to-fail. Ma si parla anche di democratizzazione dell’informazione, di contrasto su vasta scala alla circolazione dei capitali illegali e di affermazione di una visione regionalistica nei rapporti internazionali, ad esempio costituendo gli Stati uniti d’Europa: ciò, infatti, in un’epoca in cui gli equilibri internazionali si giocano soprattutto fra attori nazionali (come Usa o Cina) di grandi dimensioni, potrebbe essere decisivo per dare maggiori garanzie di pace, che è la pre-condizione per lo sviluppo e il benessere.

Andrea Di Turi
@andytuit

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