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Green economy 3.0 ai nastri di partenza

La green economy si sviluppa dal basso. Sono le imprese, la concorrenza sul mercato fatta di prodotti e processi produttivi, i consumatori stessi che la chiedono. E gli investitori attenti alla sostenibilità

di Andrea Di Turi 11 dic 2012 ore 13:50
L’esito molto deludente della Conferenza delle Parti Cop18 sui mutamenti climatici promossa dalle Nazioni Unite a Doha, in Qatar, conclusasi la settimana scorsa, dice che non c’è accordo fra i cosiddetti “grandi della Terra” sulle azioni da intraprendere per scongiurare le catastrofi ambientali e in particolare climatiche. Catastrofi che secondo una quantità crescente di studi attendono il pianeta nei prossimi decenni, al più tardi entro la fine del secolo presente.

Il cambiamento arriva dal basso - Quello di Doha non è però un ritratto fedele di quello che sta accadendo, nel mondo e anche in Italia, per quanto riguarda tutto ciò che è green. O almeno non è completo. Perché sembra che la green economy, in realtà, si stia affermando motu proprio: molto più dal basso che dall’alto, insomma. Perché sono le imprese, la concorrenza sul mercato fatta di prodotti e processi produttivi, i consumatori stessi (e gli investitori attenti alla dimensione della sostenibilità) che la chiedono. E sembra proprio che questo percorso sia (per fortuna) ormai irreversibile.

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Si sta già ampiamente sperimentando, dunque, come la green economy non sia solamente una questione di essere più amici dell’ambiente, come ancora alcuni cercano di venderla. Ma riguardi, piuttosto, l’integrazione completa, profonda, puntuale della tutela e salvaguardia dell’ambiente nelle maglie dei processi di business, in ogni settore. Di più: è ormai il business nato sulla tutela dell’ambiente quello che prospera maggiormente e si rivela più capace di creare occupazione.

Che ci si trovi alle porte di un’era 3.0 per la green economy? Forse. Questo, almeno, “Green 3.0”, è il titolo del convegno organizzato nei giorni scorsi a Milano dall’Osservatorio Green economy di Fondazione Istud insieme alla Rappresentanza a Milano della Commissione europea, col patrocinio dei dicasteri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico. Ma è anche il titolo del volume, Green 3.0. Italia, più verde meno spread, curato da Maurizio Guandalini e Victor Uckmar (ed. Mondadori Università), appena uscito in libreria. Che racconta del vasto, sempre più importante mondo imprenditoriale, fatto di mille realtà, di innovazione, di filiere, di tante eccellenze, che anche in Italia lavora per una transizione da un’economia non più sostenibile a un’economia green. E nel quale si avverte l’urgenza di un cambio di marcia per affrontare con la forza necessaria le sfide del futuro.

I numeri dell’Italia - Basta guardare ai numeri per capire cosa sta accadendo sotto i nostri occhi. Vediamone alcuni. In Italia la green economy oggi conta circa 100mila imprese e quasi 370mila occupati. L’Italia è ai primi posti a livello mondiale per quanto riguarda l’installazione di impianti fotovoltaici. Quest’anno la produzione di energia da fonti rinnocabili toccherà la soglia record di 27 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti petrolio): è il doppio rispetto all’anno 2000. Già nel 2009 la produzione di energia da fonti rinnovabili nel nostro Paese è stata il 100,6% del consumo di energia elettrica delle famiglie. Si prevede che entro dieci anni il 18% della domanda energetica italiana sarà soddisfatta da energie rinnovabili.

L’Italia è il terzo Paese europeo per dimensione del mercato dei rifiuti urbani. Da noi, però, il riciclo non va oltre il 33% e solo il 14% dei rifiuti viene attualmente utilizzato per la produzione di energia. Gli scarti biologici delle lavorazioni agricole potrebbero valere oltre 10 Mtep annui (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) di energia primaria: significano il 49% della produzione da fonti rinnovabili e il 5% dei consumi italiani, vale a dire svariati miliardi di euro l’anno. A Crescentino (Vercelli) c’è il più grande impianto al mondo per la produzione di bioetanolo di seconda generazione, con una capacità produttiva di 40mila tonnellate di bioetanolo l’anno.

Intanto, nel corso del 2011, e non accadeva dal Dopoguerra, in Italia sono state vendute più biciclette che automobili nuove: 1.748.143 le automobili immatricolate, 1.750.000 le biciclette vendute. Segnali di un mondo in movimento, di un cambiamento in corso.

Fare sistema... - Lo dice anche il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, nella prefazione al volume citato: «Ormai efficienza energetica, innovazione tecnologica, fonti rinnovabili d’energia, protezione dell’ambiente e del territorio creano posti di lavoro e fanno crescere le imprese in modo stabile e sicuro, mentre gli altri settori economici sono in difficoltà. Eppure la green economy non ha nelle istituzioni quella voce, quel peso, che merita e che invece ha nel mondo reale. È nostro dovere ascoltare le amministrazioni pubbliche più innovative e le imprese “verdi” e sostenerne le iniziative, che sono l'arma migliore per combattere la crisi».

Il problema, insomma, è un po’ sempre quello, in Italia, e la green economy non fa eccezione: non si fa sistema quanto e come si dovrebbe. Non c’è il coordinamento che servirebbe per promuovere in maniera organica, e con sguardo di lungo periodo, la transizione eco-sostenibile del nostro modello economico-produttivo. Stili di vita dei consumatori compresi. Per cui vanno salutati con favore i primi passi mossi nei mesi scorsi dagli Stati generali della green economy, sperando che non restino gli unici ma siano seguiti, e presto, da altri.

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...per creare occupazione - Lo sviluppo della green economy è anche, e per certi versi si potrebbe persino dire soprattutto, una questione di occupazione. È stato stimato, ad esempio, che con un investimento di circa 40 miliardi di euro in un arco di tempo di quindici anni, in Italia si potrebbe finalmente mettere in sicurezza il territorio senza dover tremare ogni volta che piove un po’ di più. Ci sono bonifiche da effettuare per 5 miliardi di euro, con circa 15mila siti da risanare (ad esempio ex-discariche, petrolchimici). Tutto questo significa nuova occupazione, tanta occupazione, di qualità e utile.

Rinnovabili, bioedilizia, smart cities, biomasse, prodotti intelligenti, filiere eco-sostenibili, riciclo e riuso: nel nostro Paese ci sono già oggi esperienze ed eccellenze in ciascuno di questi campi. Ma per fare della green economy l’architrave dello sviluppo, occorre al più presto definire l’agenda green per il 2013 e per gli anni a venire. E allora sarà davvero green 3.0.

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Andrea Di Turi
@andytuit
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